Genesi, l’araba fenice

Coffee-BreakCooffe Break, i Racconti di NapoliTime

Anita si guardò di sfuggita allo specchio dell’armadio mentre passava l’aspirapolvere. Uno sguardo distratto al pigiama consunto, rosa, che le donava un aspetto da bambina avvizzita, se non fosse stato per la prepotenza dei suoi seni che sbattevano contro il cotone del pigiama, i capezzoli stimolati loro malgrado. Finì di malavoglia il lavoro e poi, come ricordandosi di un dettaglio improvviso, si risistemò davanti allo specchio opaco.

Vedeva una donna ma non si riconosceva in lei. Alzò la maglietta del pigiama col suo ridicolo fiore rosa stampato sul cuore per meglio rivedersi i seni; nonostante tutto, erano niente male, prendendoseli fra le mani li sentì belli pieni. Si passò la mano ruvida sul viso. Aveva stampate ai lati della bocca le rughe del dolore ed intorno alle labbra, che un tempo erano state generose, si ritrovò una piccola ma fitta ragnatela di pieghe che si increspavano, evidentemente un ragno invisibile doveva aver tessuto la sua tela lavorando dall’interno della gola bruciata dalle sigarette.

Si tirò un po’ giù i pantaloni slabbrati del pigiama. La pancetta c’era, Anita fece l’atto di tirarla indietro trattenendo il fiato, si mise di profilo quindi la mollò, chi se ne frega. Lo sguardo, meccanicamente si posò sopra l’anca dove c’era una piccola rientranza, una piccola stampa impressa sulla sua carne bruna. Eccolo lì il dettaglio improvviso. Eccola lì la testimonianza dell’orrore. La mente volò a dieci anni prima, alla notte di san Valentino, che coincideva con l’ultimo giorno di carnevale.

Lei era vestita da colombina. Un costume semplice, messo insieme con roba vecchia perché il meglio l’aveva riservato a suo marito; gli aveva cucito il costume da arlecchino, sgargiante e colorato. Le tornò alla mente, come un rigurgito acido, la conclusione della serata. Le venne quasi da ridere, e rise! Essere picchiate a sangue la notte di san Valentino, da arlecchino in persona! Portare impresso il marchio sull’anca del tacco della scarpa di arlecchino! Non era forse da crepare dalle risate?

Colombina che torna a casa sola, graffiata e sanguinante. E ancor di più la faceva ridere la domanda del giorno dopo, su chi era stato a conciarla in quel modo. Poteva mai rispondere che era stato arlecchino? Non era forse da sbellicarsi? E come una burla di carnevale si concluse il suo matrimonio. Senza una giustizia, senza un riscatto! Il dottore di famiglia che le consiglia di lasciar correre per il bene del figlio, arlecchino che la minaccia di farle fare la fine di un piccione più che di una… colombina. La sua vita da ricostruire con un figlio piccolo. Anita sapeva bene dove stava ora arlecchino.

Si era rifatto una famiglia, aveva una moglie nuova e un figlio nuovo, non c’era posto per nessun altro, aveva una vita firmata, una vita che valeva. Li vedeva passare sempre con il loro pomposo Suv per la via dove lei andava in palestra, a pulire. D’un tratto, Anita, davanti allo specchio ebbe finalmente chiaro cosa doveva fare. Si vestì febbrilmente, si truccò, non dimenticò di indossare i tacchi e via di corsa raggiunse il viale e aspettò.

Aspettò sulle strisce pedonali e all’ora che sapeva, quando vide sbucare il Suv verde marcio, quale altro colore poteva essere, facendo come se leggesse un depliant, attraversò! L’impatto fu violento e certo fu un bel rischio. Dovette portare il collare e il femore, proprio quello dove il tacco l’aveva marchiata, le sorrideva da una piccola cicatrice sghemba. Ma Anita, ora di nuovo davanti allo specchio, sorrise di rimando alla cicatrice, finalmente ben visibile, finalmente vendicata da quel giorno. Nonostante l’ospedale, nonostante l’intervento si era sentita rinata, viva e con 150mila euro su cui contare. Aveva anche lucidato lo specchio.

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