La lettera di Passion Time
Il mio cucciolo di tre anni e mezzo ha fatto la sua richiesta, innocente e comprensibile per il suo desiderio di giocare in compagnia e per la sua età, che lo pone nella fase in cui incomincia a confrontarsi con il mondo che lo circonda. Me l’aspettavo, ma sono rimasta comunque senza una risposta, anzi, senza la risposta giusta da dargli, perché non la conosco neppure io. La risposta che lui vorrebbe io non riesco a dargliela, non riesco a dire si e non so spiegargli il motivo. L’ho buttata lì tanto per dire una cosa che lo distraesse per non fargli pesare il mio no, sminuendo l’importanza della sua richiesta e questo mi ha fatto sentire ancora più terribilmente in colpa. So che sto sbagliando e anche se darei l’anima per lui io non ce la faccio.
“Mamma – mi ha detto con quella vocina dolce come il miele che usa quando vuole una cose che per lui è estremamente importante – ma Gesù quando si decide a portare un fratellino anche a me? Io lo aiuto, gli faccio mangiare il latte. Ma poi mangia e dorme? E con me può giocare? E poi i bambini piccoli piangono sempre. Mamma io sono grande”.
Da quando è nato la mia vita è cambiata, sono cambiata io. Non mi importa se rinuncio a tutto quel che vorrei, ma a lui non deve mancare nulla, voglio solo che stia bene sia allegro e che sorrida sempre e che la sera si addormenti sfinito perché ha trascorso una giornata bellissima. Non sempre le giornate sono bellissime, la vita di tutti i giorni delle volte ci impedisce di far quello che vorremmo fare insieme. Ma come mi fa sentire felice quando nel lettone, prima di addormentarsi, mi dice “oggi è stata proprio una bella giornata”.
Io e mio marito non abbiamo mai affrontato seriamente l’argomento, ma sono certa che lui non ci penserebbe due volte a dirgli sì, perché qualche volta anche lui l’ha accennato, ma ora non si pronuncia per la mia categorica affermazione di qualche tempo fa in cui dicevo “no, non me la sento ancora e poi stiamo così bene tutti e tre insieme, non ci manca nulla!”.
Non so spiegare perché non voglio un altro figlio, so solo che mi sento un peso enorme che sembra schiacciarmi ogni volta che cerco di convincere me stessa che uno solo non va bene e che come dicono dalle mie parti “ci vuole la compagnia al primo”. Ma a me vien da piangere, mi invade la sensazione di non essere capace, di non riuscire a dividermi con due piccoli, ma nemmeno tanto per le cose pratiche da fare durante la giornata, ma più che altro non riesco ad accettare di dover togliere il mio tempo a Giò per curare un piccolo che ha bisogno di tutto. Razionalmente so che non sarebbe così ed è per questo che non riesco a capire da dove arriva tanta paura. Mi rendo conto che sto comportandomi esattamente come quando ero incinta di lui e pensavo di non essere pronta, mi sentivo ancora piccola anche se non lo ero affatto e avevo paura di non essere una brava mamma.
A volte penso che quel che mi blocca è l’esperienza drammatica che abbiamo vissuto io e mio marito quando è nato, anche se sono conscia che ormai è acqua passata e che tutto va bene e non devo temere nulla. La crisi ha colpito anche noi, come d’altronde migliaia di famiglia come noi. Quando mio marito fu messo in cassa integrazione, Giò aveva appena cinque mesi, e non vedevamo un euro da almeno tre mesi prima. Il primo mensile della cassa integrazione arrivò dopo oltre cinque mesi, il che significò più di otto mesi senza denaro, attingendo a quel poco che avevamo solo per non far mancare nulla al piccolo, e non rifiutando quel che ogni tanto mia mamma mi dava per aiutare almeno un po’. Non so davvero come abbiamo fatto, so che a noi è mancato tutto e a volte avevo paura che qualcuno venisse a trovarci a casa e io non avevo neanche il caffè da poter offrire. So che nessuno si è mai accorto di come stavamo, neppure i nostri genitori, almeno è quello che voglio ostinarmi a credere io per giustificare la loro assenza. Eppure io ho dei bei ricordi perché a mio figlio non è mancato nulla, anzi io ho sempre pensato che un po sia stato fortunato nella sfortuna perché è cresciuto con il suo papà sempre accanto che lo coccolava e lo faceva giocare sempre.
So che tutto questo mi ha segnata profondamente, mi ha reso una donna forte e più generosa. In alcuni momenti ho rinnegato Dio, ma poi mi sono calmata e ho cercato di trovare sempre il lato positivo in ogni giornata, fino a che poi il mondo ci ha sorriso di nuovo. Spero di fare la scelta giusta per la mia famiglia anche questa volta, ma adesso mi sento solo “piccola”.
Una Mamma
Carissima, grazie per la tua lettera così profonda e struggente. Fossi una saggia nonna ti risponderei: “non ci pensare due volte, i figli sono doni del cielo e dove si sta in tre si sta pure in quattro”, ma non lo sono e ti dico che, questo vecchio adagio, non lo condivido molto. Anzi, penso che il cuore di una donna, che è già madre, abbia tutte le risposte e debba essere ascoltato.
Tu non ti senti di avere un secondo figlio? Allora non farlo. Non adesso, almeno.
Leggendo la tua lettera questa certezza spicca tra il vissuto che tanto ti ha segnato, intriso di incertezza e paure. Sarebbe difficile ripartire da capo con un figlio piccolo, ma non certo impossibile. Il tuo Giò accoglierebbe, tra alti e bassi, più o meno felice, come tutti i bambini, il fratellino appena nato ed il suo desiderio sarebbe così esaudito. Tu, da mamma, questo lo sai bene, come sai che non “ci vuole la compagnia al primo”, non necessariamente, non quando i dubbi superano la voglia, la necessità fisica, perché quello verso i figli è un amore viscerale, di abbracciare un neonato che per molti versi ti catapulta lontano da tutto e tutti. Soprattutto se sei solo e non circondato da nonni o aiuti vari. La sicurezza economica oggi non esiste per nessuno, il mondo del lavoro è talmente precario, tanto che ci sarebbe da scappare dal Paese perché guardando la realtà, i nostri figli, anche quelli già nati, non sembrano avere neanche il presente, figuriamoci un futuro fatto di certezze ed opportunità.