Il mio analista la chiama dipendenza da internet, io lo chiamo bisogno d’amore

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Mi sono iscritta a Facebook in una noiosa domenica di pioggia, in realtà non mi è mai interessato mettere pezzi della mia vita di fronte agli sguardi di tutti, ma quel giorno, non so neanche perché, ho deciso di registrarmi. Ho impiegato due minuti per entrare a far parte di quel gruppo di miliardi di persone iscritte al social network ed appena finito ho chiuso la pagina, disconnesso il computer e, sempre molto disinteressatamente, sono uscita di casa.

Qualche ora più tardi, mentre ero fuori, ho iniziato a pensare al mio profilo, a cosa potevo dire di me, a mettere qualche bella foto, a come curare quello spazio così strano: il diario, un oggetto che per definizione è tanto personale, ma che in Facebook non è personale per niente…  Ma questo poi te lo scordi.

“Adesso sono in rete, devo curare l’immagine. Chissà se gli amici inizieranno a cercarmi… e cosa penseranno vedendomi dopo anni”, mi sono detta tornando a casa impaziente di completare i campi che inizialmente avevo lasciato vuoti e raccontandomi al meglio lucidando l’argenteria come quando ricevi ospiti dopo secoli di solitudine.

Due ore di lavoro ed ero ufficialmente in trappola: soddisfatta. Preda di quel meccanismo perverso, un misto tra l’esibizionismo ed il voyeurismo perché io, in questo senso, ho usato Facebook.

Il primo giorno ho iniziato a cercare gli amici, il secondo i conoscenti, a forza di click ho iniziato a ritrovare gli ex fidanzati e spiare le loro vite, almeno di quelli che mi hanno accordato l’amicizia. Tra questi, un giorno trovo Pino, un mio amore del liceo, che da subito mi invia lunghi messaggi a cui rispondo sempre più emozionata, coinvolta ed eccitata. Inizia così, come l’ho definito io, il secondo round della nostra storia d’amore. In chat abbiamo ricordato il nostro passato, ci siamo raccontati il presente, rivelati i più reconditi desideri, parlando di aspettative e sogni di vita. Nella mia testa è scattato un click e mi sono sentita innamorata, ma come quando avevo 16 anni ed uscivo con lui. Da quel momento, in preda ad una cotta degna di un’adolescente, col batticuore, ho iniziato a usare la mia bacheca per attrarlo ed ho iniziato a postare foto dei suoi cibi preferiti, dei suoi ristoranti preferiti, tutto quello che in confidenza mi scriveva durante le nostre amabili chiacchierate virtuali, riuscivo a materializzarlo in foto e registrazioni di luoghi. Immagini totalmente scollegate, apparivano nella mia bacheca e se ne stavano lì con un unico scopo: ritrovare un suo “Mi piace”, o addirittura un suo commento, anche una parola sola, anche la più banale.

Poco dopo Pino ha rallentato fino a smettere di scrivere e mi ha bloccato e segnalato dato che morbosamente condividevo continuamente tutti i miei post dedicati a lui. In sei mesi mi sono ridotta alla dipendenza totale di quel mondo virtuale allontanandomi dalla mia vita reale, dal mio fidanzato, che mi ha lasciato, dalla mia famiglia ed avendo gravi problemi sul posto di lavoro. Attaccata al mio smartphone, oppure al computer, alla ricerca di un amore immaginario, io e Pino non ci siamo mai visti, intrappolato nella rete, ma in trappola ci sono finita io e per questo sono in analisi.

Da poco tempo ho avuto la possibilità di riaccendere il computer, mi era stato vietato, non ho più il profilo Facebook, ma mi aggiro per il web, in un giorno di questi ho scritto a voi della redazione. Sto cercando, con l’aiuto del medico, di riordinare la mia vita andata in pezzi, so che ce la posso fare, ma è molto dura.

Quel diario mi manca ancora come l’aria. Il mio analista la chiama dipendenza da internet, io lo chiamo bisogno d’amore. Chissà chi dei due ha ragione?

Maria M.

Cara Maria,

io credo che abbiate torto entrambi. Io la chiamerei paura della vita reale.

Mi ricordo di quando ero ragazzina e prendevo l’autobus per tornare a casa da scuola in compagnia delle amiche. Ci sedevamo vicine e approfittavamo del tempo per parlare e raccontarci tutto nei minimi dettagli. Mi ricordo delle risate che echeggiavano tanto che le signore anziane ci lanciavano degli sguardi come a fulminarci. Ma l’aria che si respirava era allegra e spensierata e non si poteva smettere di chiacchierare. Ora quando mi capita di prendere il treno o altri mezzi pubblici quel che noto è il silenzio e gli sguardi fissi sui telefoni. Osservo spesso i ragazzi che ritornano a casa da scuola. Viaggiano insieme seduti gli uni accanto agli altri, ogni tanto lo sguardo si alza e sussurrano una mezza frase, magari per dire: “mi ha messo mi piace”. Poi gli occhi ritornano sul telefono e le parole muoiono. Ragazzi o adulti, indifferenti a tutto ciò che li circonda.

Mi rendo conto che questo è un mondo diverso da quello che vorrei per mio figlio e per tutti i ragazzi che sono nati nell’era digitale.

Il mondo reale è fatto di parole, racconti pieni di emozioni, occhi che brillano quando incrociano lo sguardo di chi amiamo, visi che arrossiscono dinanzi alla persona che ci piace e vorremmo tutta per noi. Nella vita reale ci sono sentimenti reali, che sono tangibili in ogni espressione e gesti del corpo, come il tono della voce, lo sguardo, la gestualità delle mani. Quanto è difficile dire ad una persona, guardandola negli occhi e tenendogli le mani, “mi piace” quello che hai detto, quello che pensi, la canzone che ascolti. Quanto è difficile dire “ti voglio bene” ad un amico ad un genitore, al fratello o alla sorella. Al mio post su Facebook troverò una decina di “mi piace” e qualche vecchio amico mi scriverà “tvb”, ma non saprò mai cosa hanno pensato veramente di me e del perché ho messo quel post e quali sono i miei sentimenti. Qualcuno sarà sincero, mentre altri saranno solo saluti di cortesia, e altri ancora magari saranno capitati così tanto per. In quei momenti vorrei poter guardare al di là del pc e scorgere i loro sguardi. Non è solo un modo di dire, ma è dagli occhi di una persona che si legge la sua anima ed è quella che stiamo perdendo.

La vita è molto di più di un freddo profilo su Facebook che imita e scimmiotta la parte più falsa di ognuno di noi. La maggior parte delle volte quello che vorremmo dire non è mai quello che gli altri comprendono, le parole si confondono e i sentimenti si fraintendono. Non nego che Facebook è attraente, spesso aiuta anche i più timidi ad uscire dal guscio, ma poi se il pc resta acceso, la porta di casa che ci proietta verso il mondo, resterà chiusa e ci saremo costruiti con le nostre mani una prigione. Il momento più bello è quando incontri dal vivo quella persona a cui in chat hai avuto il coraggio di dire “mi piace”, e guardandolo negli occhi, gli dici “mi piaci”.

Cara amica, se senti il bisogno di amore riempi la tua vita di amore sincero e reale. La vita quotidiana forse, a volte può sembrare noiosa, grigia ed inutile. Ma se si guarda nella giusta direzione si scorge il lato positivo di ogni singolo evento. Quando il sole tramonta si sente lo sconforto del giorno che finisce e del buio che sopraggiunge, ma in un attimo all’orizzonte appare già la prima stella, fino a che il celo viene illuminato da un manto di stelle e la paura del buio svanisce. La paura di vivere la vita reale è come la paura del giorno che termina nell’oscurità. Ma l’oscurità non esiste veramente e le stelle lo dimostrano.

L’emozione di incontrarsi di persona, potersi abbracciare e darsi un bacio, non ha paragone. Facebook è solo un mezzo, che come ogni cosa nella vita, va usato bene, con le giuste dosi e con la dovuta razionalità. Ti auguro di trovare il tuo equilibrio e l’amore che cerchi e che ti riempia le giornate con mille cose reali da fare, tanto che non avrai più tempo e voglia di accendere un pc.

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