Coffe Break, i Racconti di NapoliTime
L’inizio della fine era cominciato quasi per caso, non ci avevo dato nemmeno troppo peso. Le stranezze, alla nostra età, sono comprensibili. Certe piccole dimenticanze rientrano nell’ordine delle cose. A volte lei tornava a casa con l’auto leggermente ammaccata e non sapeva spiegare il perché, oppure succedeva che trovavo gli oggetti fuori posto. Ma il campanello d’allarme avrebbe dovuto squillare nella mia testa quando notai che Emma non si teneva più in ordine come un tempo, che non stava più attenta a dettagli che fino a qualche tempo prima riteneva importantissimi. Si vestiva come capitava, i colori non erano più rigorosamente abbinati e una parte sciocca di me ne era quasi contenta, perché pensava che fosse giusto che si stesse finalmente liberando di certe rigide e inutili consuetudini. Solo a luglio, nella nostra casa al mare, mi resi conto che le stava succedendo qualcosa di serio, perché Emma, fino all’ estate prima, entrava e si metteva subito al lavoro di buona lena, apriva tende, finestre, sprimacciava cuscini rendendo subito la casa fresca e accogliente, sì che arrivava prorompente solo il profumo del mare e dei pini.
Quell’estate, invece, se ne stava ore incollata alla finestra, guardando il mare e il cielo, sembrava seguisse i percorsi delle onde e delle nuvole, ma si dimenticava di cantare, non voleva più venire a nuotare con me, non voleva più fare niente. Fu un mese lungo e penoso e quando tornammo in città la convinsi a venire con me dal medico. Lei acconsentì tranquilla, pensai quindi che sicuramente stavo esagerando, forse era solo un po’ di stress comunque non annullai l’appuntamento ed andammo all’ambulatorio. Il medico, un neurologo di fama, fu molto carino, la mise a suo agio, la fece anche disegnare, sembrava che fosse lui ad avere problemi di memoria perché le poneva domande su argomenti già discussi, le chiedeva cose banali alle quali sembrava quasi che Emma rispondesse a tono, fino a che le chiese in che mese eravamo e lei s’impuntò che era novembre ed invece eravamo solo dentro a un dolce e terribile settembre.
La risonanza magnetica, non lasciò spazio a dubbi: Emma aveva l’alzheimer conclamato. Fu un brutto colpo, piansi tanto mentre tornavo a casa coi risultati maligni in mano. In questi mesi lei era diventata ancora più bella, la malattia le stava regalando occhi curiosi da bambina e un volto di porcellana, ma stava prendendo in mano la sua vita, soffiandole via i ricordi. Su consiglio del medico, cercai di tenere in tutti i modi la sua mente attiva, non avevamo avuto figli, ma ricordi belli ne avevamo eccome! Le facevo riguardare le foto scattate in giro per il mondo, la riportai nei luoghi che aveva amato, cercavo di tenerla il più possibile legata a me, anche se il suo sguardo vagava spesso alla ricerca di qualche nuvola speciale alla quale sorrideva rapita, straziandomi il cuore. La primavera successiva, la situazione degenerò irreversibilmente e fui costretto a trovarle una sistemazione in un residence ospedaliero specializzato. La mattina del ricovero la vestii elegante, lei era divertita e collaborava pensando fosse un gioco, la portai quindi a mangiare nel nostro ristorante preferito sul mare e ordinò, come se sapesse che sarebbe stata l’ultima volta, il menù speciale dei nostri primi incontri. Arrivammo in clinica solo al tramonto, le avevo fatto credere che fosse un grande albergo, lei batteva le mani contenta ed invece a me piangeva il cuore.
Iniziò così la nuova fase delle nostre vite, io andavo a trovarla tutti i giorni, cercando di ancorare la sua mente alla mia ragione. A volte ci riuscivo ed erano momenti di tenerezza infinita, lei era spaventata, stavamo abbracciati stretti stretti, mi prometteva, baciandomi, di non lasciarmi mai, che avrebbe sempre ricordato che ero il suo amore e il suo migliore amico, ma la maggior parte delle volte era apatica, stava alla finestra a guardare il cielo autunnale, a respirare l’aria che sapeva di castagne e di mosto, tutta persa nel suo mondo dove io non avevo spazio. Successe poi che quell’inverno presi una brutta influenza che mi costrinse a casa una settimana intera e, anche se le telefonavo tutti i giorni, avevo paura delle condizioni in cui l’avrei trovata, avevo paura per lei!
Quando arrivai in clinica, ero ansioso e smarrito. La trovai sempre bellissima, ma strana, vestita di colori vivaci; fu cortese, gentile ma fredda e non volle assolutamente farmi entrare nella sua camera. Anzi, questa idea la agitò molto, l’infermiera fu costretta a sedarla e io me andai, lasciandola dormire. Mi sentivo molto solo ed impotente ma non avevo nessuna voglia di demordere, la mattina dopo ero di nuovo là. Lei stava guardando la tv con un’altra paziente, sua amica, appena mi vide si irrigidì un po’, ma mi concesse attenzione, la sentivo nervosa però, e diffidente, non le chiesi di andare in camera, praticamente non le chiesi niente. Mi accovacciai vicino a lei, in silenzio. Emma sembrò impietosirsi, si alzò guardandosi intorno, ansiosa prese per mano la sorella di questa nuova amica, una signora bionda dall’aria gioviale e me la presentò. Pian piano, studiando il comportamento di Emma, intuii il motivo della sua irremovibile decisione di incontrarmi solo in presenza di Sandra. Arrivai a capire che con Sandra, Emma si sentiva più sicura ed infatti con lei riuscii ad entrare di nuovo nelle sue grazie. Da allora, vado con Sandra a trovare Emma e lei è felice di vederci. Giochiamo a carte, prendiamo il tè, ci prendiamo cura delle due amiche, perse nel loro mondo. Nel frattempo io e Sandra abbiamo iniziato a frequentarci anche fuori dalla clinica per una pizza o un caffè, siamo andati persino al cinema perché abbiamo scoperto di stare bene insieme. A volte mi sfiora il dubbio che Emma l’abbia fatto apposta, che abbia pensato, in un barlume di amore, a non lasciarmi solo… poi scuoto la testa e mi incammino verso casa…
“… Lo guardo dalla finestra andare via, un po’ curvo. È un signore molto gentile anche se veramente molto insistente; per fortuna gli ho fatto incontrare la signora bionda… come si chiama? Ah, si! Sandra, mi sembra; altrimenti avrebbe avuto la pretesa di entrare in camera mia. Figuriamoci! Non so nemmeno il suo nome, anzi domani devo ricordami di chiederglielo. Certo che la mente umana è strana, chissà cosa lo ha spinto a voler prendere confidenza con me, una perfetta estranea e trattarmi invece come se mi conoscesse da sempre!… Ora però sto seguendo quella nuvola, soffice e bellissima, sembra un puledro bianco, mi piacerebbe cavalcarlo. Sono serena, penso di avere tanto dalla vita, anche se ho qualcosa dentro la testa che mi dice che non è sempre stato così…”.