Roma – Quello delle sigarette elettroniche rimane un tema altamente dibattuto, dopo la conferma che non sono nocive, è stata impedita la vendita di quelle con contenuto di nicotina ai minori di 16 anni, per poi giungere alla tassazione del 58,5%.
In pratica il DL 76/2013 (Lavoro – IVA), approvato in parlamento l’8 agosto del 2013, ha equiparato le sigarette elettroniche ai tabacchi lavorati, imponendo dal 1° gennaio 2014 la tassazione con aliquota del 58,5%. Oltre l’aliquota è stato introdotto il deposito fiscale dei prodotti “da fumo”, una sorta di cauzione, su tutte le componenti elettroniche delle sigarette che nulla hanno in comune con il fumo essendo materiale tecnologico.
Generalmente la sigaretta elettronica è costituita da un filtro contenente una cartuccia, un vaporizzatore, un circuito elettronico interno alimentato da una batteria ricaricabile. I liquidi aromatici sono contenuti nella cartuccia e possono contenere o meno nicotina ed aromi come il gusto fragola, menta, cognac e molti altri.
Nata come mezzo per contrastare il tabagismo, si è trasformata in un business con il sorgere di numerosi punti vendita, che in questa epoca di crisi rappresentano un tentativo di investimento sul lavoro da parte degli operatori del settore. In Italia sono circa 3.500 i negozi di rivendita delle e-cigarette (sigarette elettroniche) con un comparto di 900 addetti e circa 5mila dipendenti.
L’Anafe-Confindustria è l’associazione che riunisce i produttori di sigarette elettroniche e liquidi per la vaporizzazione ha scritto al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Patroni Griffi per lanciare l’allarme chiedendo la mobilità per 900 addetti del settore ed una proroga di 3 o 6 mesi degli obblighi legati alla costituzione dei depositi fiscali, la riduzione della tassazione al 25% applicandola ai soli liquidi, l’introduzione dei diritti di registro di 2/3.000 euro per ogni soggetto che voglia vendere le sigarette elettroniche.
Il presidente di Anafe-Confindustria, Massimiliano Mancini, aveva così commentato dopo la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre: “[…] la decisone di applicare un’imposta così elevata causerà la chiusura di tutte le aziende italiane produttrici, oppure non lascerà loro altra via che quella di rivolgersi esclusivamente agli altri Paesi membri dell’Unione Europea. L’Italia è l’unico paese ad aver applicato una simile imposta sulla sigaretta elettronica. Un provvedimento iniquo e persecutorio per il quale siamo pronti ad adire alle vie giudiziarie italiane ed europee”.
La tempistica così ristretta: meno di un mese tra la data del 7 dicembre, giorno della pubblicazione del decreto, a quella del 1° gennaio 2014, data di attuazione, mette una seria incognita sull’effettivo introito nelle casse dello Stato, nonché un tangibile pericolo di perdita del posto di lavoro per i lavoratori del settore.
Alcuni esponenti politici si sono dichiarati favorevoli alla modifica del provvedimento, con la presentazione di un emendamento a firma del deputato Aris Prodani (M5s) sottoscritto anche da Sabrina Capozzolo (Pd) Ignazio Abrignani (Fi) e Fabio Lavagno (Sel) che prevede un’imposta di fabbricazione sui liquidi delle sigarette elettroniche pari a 20 centesimi per millilitro. Dalle parole di Prodani si evince la necessità dell’unione di intenti in merito all’azione congiunta: “Non deve essere una battaglia di bandiera, perché la politica deve dare risposte al mondo imprenditoriale che deve creare le condizioni per lo sviluppo per un settore che sta crescendo. Chi vuole fare impresa deve avere delle regole chiare e semplici”.