Leggendo i giornali e ascoltando i tg, sembra proprio che ormai non si parli d’altro che di disoccupazione e di precariato. L’argomento tira, se vogliamo usare un’espressione giovanile. Insomma, se prima mi sentivo una mosca bianca in un mondo di mosche nere, ora non so dire se sono diventata io nera o le nere bianche. Fatto sta che non mi sento più sola e quindi un lato positivo a tutto questo, l’ho trovato. No, tranquilli, non sono impazzita, ora vi spiego questa mia strampalata teoria.
In passato, quando dovevo comunicare alla parentela tutta che avevo nuovamente perso il lavoro, partivano gli sguardi del tipo “ma-guarda-te-questa-ha-di-nuovo-perso-il-lavoro-deve-avere-qualcosa-che-non-va”. E io odiavo quegli sguardi, perché arrivavano da chi, di lavoro precario, ne capiva ben poco (fortunati loro). Riuscivano a farmi sentire in colpa, quando di colpa, avevo solo quella di essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ora invece, quando ho comunicato il mio nuovo status di disoccupata, gli sguardi erano più comprensivi e anche le parole, “ti-capisco-sai-anche-chi-come-me-ha-il-contratto-a-tempo-indeterminato-rischia”. Santa pace, ci voleva la crisi per far diventare tutti più comprensivi?
Però, fatto sta, che non mi sento più la sfigata della famiglia, la pecora nera, o come preferite appellarmi. Ora mi sento ancora una sfigata, ma in mezzo a tanti sfigati, con una grande e unica differenza però: che se la barca dovesse affondare, io ho gli strumenti per non annegare, altri invece, affogherebbero seduta stante. Cosa intendo? Che io ormai so dove e come cercare lavoro; sono abituata a cambiare ufficio e colleghi. Ci sono invece persone che lavorano nello stesso posto da più di dieci anni e all’idea di doversi mettere in gioco tremano come foglie al vento. Ecco, diciamo che io in trincea ci sono già da un po’, altri non ci sono mai stati.
Quindi in un momento di crisi, PrecariaMente batte tutti 1-0. Palla al centro.