Dalle carte dell’inchiesta romana iniziano a trapelare le prime intercettazioni
“Tu pensi di essere intelligente, ma anche io non sono fesso. Pure io sono furbo”. A parlare è il manager ospedaliero Guglielmo Manna mentre scherza al telefono con la moglie: la giudice Anna Scognamiglio. Quest’ultima è tra i magistrati del Tribunale civile di Napoli, che da lì a poco dovrà decidere sul ricorso presentato da De Luca contro la sospensione ai sensi della Legge Severino. Si tratta di stralci di intercettazioni che emergono dall’inchiesta della Procura di Roma. Ad essere indagati, lo ricordiamo, sono il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, la giudice Scognamiglio e il marito, il capo segreteria dimissionario Nello Mastursi e altre persone: avvocati che avrebbero fatto da tramite tra lo staff di De Luca e il giudice. Le accuse sono, a vario titolo, concussione per induzione e rivelazione del segreto d’ufficio.
Il contesto è quello che va da luglio a settembre scorso, quando è in corso la battaglia giuridica che De Luca sta combattendo per mantenere la carica di presidente della Giunta regionale. C’è la legge Severino che incombe, a causa della condanna in primo grado per abuso d’ufficio nell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Salerno (vai all’articolo).
Manna appare dai dialoghi ambizioso. Tanto che non sta più nella pelle, quando il giudice dalla Camera di Consiglio che sta decidendo il destino politico del presidente, lo chiama per dirgli “abbiamo finito, è fatta”. Segue l’sms che Manna invia allo staff di De Luca, rassicurandoli: “È andata come previsto”. Da lì a pochi giorni un’altra telefonata. Questa volta è Manna che chiama la moglie e la informa di essere “stato chiamato in Regione”.
Negli atti dell’inchiesta portata avanti da Giuseppe Pignatone si ricostruiscono la condotta e le telefonate tra il giudice Scognamiglio e suo marito sia a ridosso della prima ordinanza, sia alla vigilia del secondo pronunciamento. La prima avvenuta lo scorso 22 luglio, la seconda l’11 settembre. Ma alle spalle c’è un’altra inchiesta: quella della procura napoletana. È portata avanti dai pm Henry John Woodcock ed Enrica Parascandolo che, partendo dalle dinamiche dei clan camorristici del centro cittadino, incrocia vicende riguardanti appalti, forniture, affari della sanità, voto di scambio politico-mafioso. Quando i coniugi vengono intercettati, essendoci un giudice coinvolto, le conversazioni vengono inviate alla Procura di Roma.
Manna aveva contatti frequenti con lo staff di De Luca ed era spesso in Regione. Circostanza che emergerebbe anche dalle intercettazioni. L’ipotesi dei pm è che la giudice Scognamiglio “abusando della sua qualità e dei poteri decisionali nella suddetta controversia giudiziaria, in concorso con il coniuge Guglielmo Manna e con gli intermediari Giorgio Poziello e Gianfranco Brancaccio, minacciando Vincenzo De Luca, per il tramite di Giuseppe Vetrano – ex coordinatore delle liste a sostegno del medesimo – e di Carmelo Mastursi – capo segreteria ed assistente del presidente della Regione Campania – di una decisione a lui sfavorevole da parte del Tribunale con conseguente perdita della carica ricoperta, inducevano il medesimo – cioè De Luca – a promettere a Manna la nomina ad una importante carica dirigenziale nella sanità campana”.
De Luca si è dichiarato “parte lesa” (vai all’articolo) ma, al di là delle valutazioni politiche, il reato di concussione per induzione, se confermato da una sentenza, farebbe di De Luca vittima e complice. La concussione per induzione è uno degli ultimi reati introdotti nel codice penale e scatta quando il minacciato ottiene un vantaggio senza riuscire a resistere al ricatto. La Procura di Roma potrebbe aver ritenuto che l’indagine nei confronti di De Luca si incardini in questi canoni. E quindi quello che i pm contestano a De Luca è la mancata denuncia delle presunte minacce.