240mila euro non sono bruscolini
Parla a vanvera chi della Rai ha percezione dal divano di casa, contento o no di quanto propone ai suoi utenti o chi siede nelle poltrone dei piani alti di viale Mazzini, prigioniero delle dinamiche nepotistiche interne all’azienda, delle centrali direzionali che contano sul potere riflesso delle icone televisive emanazione de partiti. Altrimenti sarebbe misterioso l’allucinante assioma della tesi “senza i volti celebri” la concorrenza è impossibile.
Tutto nasce dalla legge sull’editoria che imporrebbe di retribuirli con cifre massime di duecentoquarantamila euro. “Ce li ruberebbero Mediaset e La7” lamentano i vertici Rai, con enfasi terroristica. Fingono di non conoscere il patrimonio di professionalità che con banali operazioni di valorizzazione sarebbero in grado di proporre in tempi rapidi come successori di Baudo, Vespa (contratto da 1,8 milioni), Giletti e Clerici (500mila), Fazio (2 milioni).
Le controprove si sprecano. E’ dimostrato dalla storia della Rai che chiunque sia dotato di qualità televisive, se proposto ripetutamente e in fasce di grande ascolto, dopo poco diventa “volto celebre”.
A Dall’Orto e agli staff dei direttori delle Reti sarebbe sufficiente un’indagine interna accurata per scoprire giornalisti, gente di spettacolo o all’esterno da retribuire con i citati 240mila euro, che bruscolini non sono. Non andrà così e la legge che fissa questo tetto di compensi sarà aggirata, ci si può scommettere, perché anche la Rai è parte del Paese di Pulcinella.