Aumento dei prezzi: 7 vacanzieri su 10 scelgono cibi di strada

Dal kebab al sushi, dalla frutta esotica a quella fuori stagione, ma anche le caldarroste congelate durante tutto l’anno

Con l’aumento dei prezzi 7 italiani su 10 (70%) in vacanza scelgono questa estate il cibo di strada per assaggiare piatti tradizionali dei territori visitati ma anche per risparmiare qualcosa e far fronte agli effetti dell’inflazione. E’ quanto emerge dall’Indagine Coldiretti/Ixè su un fenomeno favorito dal moltiplicarsi di sagre, feste ed iniziative di valorizzazione alimentare nei luoghi di vacanza.

Lo street food rappresenta per molti – rileva Coldiretti – una alternativa valida per mangiare fuori in vacanza anche per ottimizzare i tempi sia nelle località turistiche che nelle città d’arte. Tra i vacanzieri che mangiano cibo di strada ad essere nettamente preferito dall’83% – sottolinea la Coldiretti – è il cibo della tradizione locale che va dalla piadina agli arrosticini fino agli arancini, mentre il 13% sceglie i cibi etnici come il kebab o felafel e il 5% quello internazionale come gli hot dog.

Il fenomeno del cibo di strada ha radici molto antiche che risalgono al tempo dei Romani dove gran parte della popolazione era spesso solita gustare i pasti in piedi e velocemente in locali aperti in prossimità della strada. Per questo l’Italia con le sue numerosissime golosità gastronomiche può vantare una tradizione millenaria come dimostrano le diverse specialità locali apprezzate dagli amanti dello street food come gli arancini siciliani, la piadina romagnola, le olive ascolane, i filetti di baccalà romano, gli arrosticini abruzzesi, la polenta fritta veneta, le focacce liguri, il pesce fritto nelle diverse località marittime e gli immancabili panini ripieni con le tipiche farciture locali che vanno dai salumi ai formaggi senza dimenticare la porchetta laziale.

Alla crescita del fenomeno però si accompagna paradossalmente – denuncia Coldiretti – una preoccupante perdita del radicamento territoriale e un impoverimento della varietà dell’offerta, ma anche il rischio di uno scadimento qualitativo con preoccupanti riflessi sul piano sanitario. Si assiste, in particolare, ad una progressiva tendenza alla vendita nei centri storici di alimenti lontani dalle tradizioni gastronomiche locali, con un appiattimento e una omologazione verso il basso che distrugge le distintività.

Il risultato è che i turisti trovano da Palermo a Milano gli stessi cibi di New York, Londra o Parigi a scapito dei cibi più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale. Dal kebab al sushi, dalla frutta esotica a quella fuori stagione, ma anche le caldarroste congelate durante tutto l’anno si trovano ovunque mentre per il baccalà fritto da passeggio a Roma, l’intruglio della Versilia o il panino e milza a Palermo i turisti sono costretti a cercare su internet o nelle guide.

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