“Nica e la radice del cedro” di Mario Ascione vince due volte, sia per la miglior recensione che per il libro più votato dagli studenti
Miriam Orfitelli, giovane e talentuosa studentessa del Liceo Classico “G. Garibaldi, è stata la vincitrice del Premio Letterario NapoliTime per la miglior critica in gara. “Nica e la radice del cedro” di Mario Ascione edito da Graus Editore è stato il libro, oggetto delle sue riflessioni critiche. È Nica la vera protagonista del Premio, personaggio chiave del romanzo vincitore della Iª Edizione del Premio Letterario NapoliTime votato dagli studenti, ma anche figura di identificazione di angosce e speranze dei giovani studenti.
“Quando il segreto della vita si apprende da un libro” è il titolo che Miriam Orfitelli ha scelto per la sua recensione:
A volte, l’umanità si perde. Si perde ogni volta che un giovane non fa sedere un anziano nel bus e ogni volta che l’anziano pretende il posto dal giovane. Si perde nell’ipocrisia di celebrazioni svuotate di significato, nel traffico delle metropoli che esacerba i cuori di guidatori e passanti, nella tivù con le sue proposte banali. Si perde nel robotico ticchettio delle proprie emozioni contenute in post e didascalie di poche battute, triste autocelebrazione di sé da proporre al vaglio del mondo virtuale.
Ma c’è speranza. Ed un libro, al quale non affidiamo alcuna aspettativa, può mostrarcela, e le sue pagine diventare la nostra corteccia, la nostra affettuosa difesa legnosa, che protegge le pieghe della nostra interiorità, mettendole in comunicazione con la realtà circostante. Il libro come maestro, il lettore come attivo recettore, che capta ogni vibrazione positiva dall’inchiostro stampato, dalla realtà che si cela al di là delle parole. Così, arriva Nica e la radice del cedro, che Mario Ascione affida all’umile sguardo vergine di un narratore d’eccezione: uno scoiattolo. Questo curioso animale salta da una pagina all’altra, e la struttura lessico-sintattica dell’intero racconto permette una narrazione fluida e scorrevole: le parole scivolano nel nostro cuore come acqua sul letto di un fiume, ed i detriti sono il deposito di ricchezze che resta da amare. Se la voce maschile è del narratore zoomorfo, oggetto delle sue osservazioni e protagoniste dell’intreccio saranno due donne, facce opposte dello stesso pianeta, rette perpendicolari, che ancora non hanno trovato il loro punto di intersezione.
La giovane protagonista è Nica, insicura e desiderosa di vita come ogni adolescente, divisa tra i banchi di scuola, sede del noioso apprendimento quotidiano e delle prime perturbanti speranze d’amore, e il ritorno a casa, dove l’unico ad accoglierla con reale affetto è il gatto. I genitori di Nica sono infatti sempre assenti, impegnati a guadagnare per il suo avvenire, adulti-tipo di una società frettolosa e ambiziosa che punta al futuro ed è incapace di prendere parte con pienezza al presente.
Nella consapevolezza della sua solitudine, Nica si rifugia negli affetti falsi dei social network, dove i cavi di internet sono come chiavi universali che fanno diventare tutti gli uomini oscuri scrutatori delle vite altrui, private di ogni genuina intimità. Nica si ritrova a nascere in questa realtà, sfortunata pasta malleabile che prende forma in un mondo di anime senza permesso di soggiorno in corpi svuotati di purezza e di vita, figlia che si giudica orfana, bisognosa di risposte, di verità, di vita.
Da un lato la frenetica vita della Roma capitale, scandita da orari, obblighi e statico dinamismo, dall’altro la riservata Fiuggi, una casa nel bosco, il silenzio. La anziana Lalla che vive nella sua casetta vicina alla fonte Anticolana, sola con il suo cane e la sua anatra, ma traboccante di amore e di storia, disposta a donare il suo tempo, le sue esperte mani di cuoca, la sua saggezza da autodidatta. Vedova dell’unico uomo della sua vita, a cui rimane fedele anche dopo la morte, vive in pace con se stessa e con la natura, affezionata al suo bicchiere serale di vino rosso e convinta della possibilità universalmente raggiungibile di essere felici. Mario Ascione sceglie la gioventù scomposta e la vecchiaia armoniosa e le abbina, le fonde, le rende complementari. Il bosco di Fiuggi, la magnifica e imperante natura, il segreto misterioso che nascondono nonna Lalla e la sua casa senza chiusure, fisiche e mentali, mostrano a Nica quella realtà che, anche se esiste, giace spesso sepolta dietro maschere e teatrali finzioni, architettate gioie senza sapore.
Così Nica fugge temporaneamente dall’opprimente estate romana per ritrovare una frescura inaspettata in una città ed in una casa che quasi si erigono al di sopra del tempo e dello spazio, già parte di quell’eternità radiosa in accordo alla quale vive Lalla. Ed è qui, lontana da tecnologie opprimenti, ed impegnative mostre di sé, che Nica impara a conoscersi, apprende la meravigliosa capacità di accontentarsi, di non struggersi invano dietro chimere irraggiungibili, ma di lasciare il palmo della mano aperto ad ogni soffione portato dal vento. Nica desidera solo conoscere la vita, essere guidata come una figlia verso le radici che si fondono con la cima, laddove l’anima, stanca di cercare il tutto, trova nelle infinite possibilità del niente una estrema, salvifica speranza. Nica e Nonna Lalla ci insegnano che ad ognuno è legato un filo dal capo lontano, e che la più profonda umanità sta nel lasciare che questo filo si perda e sia trovato dall’altro, affinché ciascuno possa diventare guida di un nomade sulla strada della vita.
L’incontro di queste donne ci esorta a sciogliere i lacci del conformismo, della prigionia morale e sociale, per saper riconoscere ed accogliere la vita, e imparare ad essere umani.