Rete di imprenditori chiedeva il pizzo agli operai impegnati nei lavori ad abitazioni private
“Dirty Job”: questo il nome dell’operazione condotta dai finanzieri del nucleo di Polizia tributaria dell’Aquila su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo abruzzese con cui sono state predisposte sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti di imprenditori impegnati nella ricostruzione post-terremoto. Gravissimi i reati imputati: estorsione aggravata dal metodo mafioso, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Tutto nasce dall’intuito di un investigatore della Guardia di Finanza che, dopo anni di esperienza nel settore del contrabbando, è riuscito a smantellare una rete di imprenditori vicini ai casalesi che gestiva i lavori alle abitazioni dei privati cittadini colpite dal sisma del 2009. Un affare ampiamente lucroso, considerato che i ricavi si aggirano attorno ai dieci milioni di euro, alcuni dei quali racimolati con il pizzo agli operai impiegati dalle ditte.
Lunghe e impegnative le indagini, che hanno subito una svolta grazie a delle intercettazioni predisposte all’interno del casinò di Venezia, uno dei luoghi chiave di tutta l’indagine. E’ proprio lì, infatti, che circa due anni fa comincia tutto. A L’Aquila da tempo girava voce che Alfonso Di Tella, costruttore originario del casertano e impegnato nella ricostruzione, avesse contatti con la camorra di Casal di Principe e fosse un assiduo frequentatore della sala da gioco veneziana.
Partono così i controlli degli inquirenti, facilitati dal fatto che per legge i casinò hanno l’obbligo di filmare i clienti e di registrarne entrata e uscita e viene fuori che Di Tella incontra regolarmente al tavolo verde Aldo Nobis e Raffaele Parente, entrambi vicini al clan e affiliati alla costola guidata da Michele Zagaria. La sala da gioco diventa quindi il luogo dei summit, di scambio di soldi e di passaggio di informazioni sulla ricostruzione di L’Aquila. Pedinamenti, registrazioni ed intercettazioni consentono alle Fiamme Gialle di filmare Aldo Nobis mentre consegna all’amante di Di Tella una fiche da 5 mila euro ed altre del valore di mille euro l’una, una sorta di finanziamento mascherato. Le indagini hanno inoltre rivelato che i 40 operai delle società che ricostruivano i palazzi pagavano un pizzo sullo stipendio a Di Tella.
La procura aquilana guidata dal procuratore Fausto Cardella, con l’indagine condotta dal pm David Mancini, ha arrestato Di Tella, insieme con il fratello Cipriano e il figlio Domenico, più quattro imprenditori aquilani, Elio Gizzi, Michele Bianchini, Dino e Marino Serpetti. A firmare gli arresti è il gip Marco Billi, lo stesso che ha emesso la sentenza con cui ha condannato la Commissione Grandi Rischi.
AGGIORNAMENTO: 11 luglio 2016 – Dino Serpetti ed Elio Gizzi (all’epoca presidente dell’Aquila Calcio), hanno patteggiato un anno e otto mesi di reclusione, dopo aver risarcito con circa 30mila euro i 19 operai “a basso costo”. Marino Serpetti, invece, è stato prosciolto su richiesta del pubblico ministero. E’ questo quanto emerso nel corso dell’udienza preliminare dell’inchiesta nella quale sono coinvolte 11 persone accusate di estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.