La storia della cooperativa sociale Dedalus ha ufficialmente inizio nel 1981. Ma già nel 1976, dieci giovani con esperienze nei movimenti cattolici, studenteschi e sindacali, decisero di dar vita a un centro di iniziativa politico-culturale. Venne istituito il Cendes (Centro di documentazione economica e sociale) di Napoli, luogo di riflessione, analisi e intervento. In quel periodo storico promuoveva un’ampia riflessione sugli scenari indotti dal ruolo nuovo del sapere e delle tecnologie nelle fabbriche e nella società.
Un anno più tardi, il Cendes si trasformò in Centro Renato Panzieri (quello dei Quaderni Rossi e dell’inchiesta operaia). In tal modo si intendeva rivendicare un’autonomia dal dibattito strettamente politico che coinvolgeva il Cendes a livello nazionale, inserito nelle dinamiche e nei conflitti interni alla nuova sinistra e ai rapporti tra la componente sindacale e quella movimentista.
L’esigenza però era quella di dotarsi di una struttura in grado di consolidare il lavoro del nucleo promotore, ampliando la partecipazione e creando un luogo di accumulazione intellettuale che potesse vivere a prescindere dalla presenza dei fondatori. La forma cooperativa sembrò la scelta più logica. Fu così che nel 1981 nacque la Dedalus.
A partire dal 1986, la Dedalus si dedicò alle problematiche legate ai flussi migratori, progettando forme di intervento volte a migliorare le condizioni socio-economiche dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie.
Fin dall’ottobre del 1989 la Dedalus ha partecipato alla costruzione del movimento antirazzista a livello locale, aderendo negli anni successivi al movimento nazionale della Rete Antirazzista.
In continuità con l’esperienza realizzata e con i cambiamenti verificatisi nel settore dei servizi sociali, la Dedalus ha orientato la propria azione anche alla gestione dei servizi alla persona e, quindi, al campo dell’economia sociale e della qualità dei servizi, trasformandosi in cooperativa sociale di tipo A nel 1999.
La Dedalus persegue l’interesse generale della comunità realizzando interventi fondati sul rispetto delle differenze; prevenendo e contrastando ogni forma di intolleranza, discriminazione e xenofobia; promuovendo e valorizzando la convivenza tra le diversità.
Attualmente la Dedalus gestisce numerosi progetti e le aree di intervento vanno dagli studi e ricerche all’orientamento al lavoro, dalla mediazione culturale all’accoglienza, dai servizi educativi alla formazione, dalla tratta e prostituzione alle dipendenze.
La cooperativa è ente promotore e attuatore di molti progetti a carattere sociale. Tra i tanti, alcuni sono a favore dell’inserimento socio-lavorativo delle persone transessuali, anche in collaborazione e a supporto delle reti di volontariato. Ma le crisi economica e i tagli alla spesa pubblica stanno mettendo a dura prova il lavoro delle cooperative sociali, ciononostante i progetti vanno avanti con successo e la dimostrazione è nella sempre maggiore integrazione dei servizi privati con quelli pubblici.
Da sempre Andrea Morniroli, componente del comitato di direzione della Dedalus, svolge la sua attività sul territorio, in trincea. E’ lui infatti il referente dell’area prostituzione e marginalità urbane, nonché socio storico della cooperativa. A lui abbiamo rivolto le nostre domande.
Ci descrive gli obiettivi principali dei progetti “Altri Luoghi” e “Marcella” dedicati alla comunità transessuale?
“Sono due progetti che guardano alla comunità transessuale come principale target di riferimento. Il progetto “Marcella” è centrato sul tentativo di immaginare percorsi di inserimento lavorativo, alternativo alla strada, per quella componente di persone transessuali che vivono la strada come unico mezzo di sostentamento in mancanza di alternative. “Altri Luoghi” è invece un insieme di servizi che cerca di rispondere a bisogni complessi di cui è portatrice la comunità transessuale.
Si tenga conto che dal territorio metropolitano di Napoli proviene una delle comunità transessuali più grandi d’Italia. Sono circa 3000, ma si muovono poi nel paese e a volte anche nel resto d’Europa. Napoli ha una forte tradizione in tal senso e mancava completamente un sistema di servizi, se non per alcuni aspetti specifici, in grado di raccogliere bisogni sempre più complessi che vanno dal lavoro alla tutela legale, amministrativa, dei consultori a bassa soglia, e altro ancora.
Un anno fa ci venne l’idea di presentare alla Fondazione con il Sud un progetto innovativo mettendo in rete le esperienze che già lavoravano su questo universo: noi per quanto riguardava il lavoro sulla prostituzione; la Federconsumatori per la tutela amministrativa e legale; il Policlinico, con Paolo Valerio, che è la struttura che da sempre segue i transiti delle persone che vogliono cambiare sesso; il consultorio Dipartimento Materno Infantile per quanto riguarda la tutela della salute e la prevenzione sanitaria. E oggi il progetto Altri Luoghi ha un consultorio a bassa soglia (con il termine bassa soglia si intende un modello di intervento sociale indirizzato agli adulti in situazione di estrema difficoltà.
Essa consiste in una modalità di accoglienza caratterizzata dal massimo livello di accessibilità: di norma, l’unico requisito richiesto per accedere a un servizio di bassa soglia è la maggiore età – ndr) a carattere sociale e sanitario. Sta aprendo un appartamento protetto per persone transessuali in difficoltà. Svolge attività di orientamento, supporto all’inserimento lavorativo, anche se in questo momento è complicatissimo per tutti e quindi anche per le persone transessuali che continuano a essere fortemente discriminate in ambito lavorativo. Ma Altri Luoghi è un progetto che riguarda anche la città, perché credo che avere buoni servizi che tutelino una componente della popolazione sia un bene per tutta Napoli in termini di democrazia e di civiltà.”
I progetti sono rivolti potenzialmente a circa 3000 persone transessuali con età compresa tra i 18 e 70 anni, che costituiscono gran parte della comunità transessuale del territorio metropolitano napoletano. In quante hanno già usufruito delle vostre attività?
“Per tutti i vari servizi, se consideriamo sia l’attività di strada, cioè di primo contatto; sia una presa in carico più complessiva: l’accoglienza, gli accompagnamenti, i servizi sanitari, i supporti scolastici, siamo sopra le 500 persone che hanno contattato i servizi. E adesso, in qualche maniera, stiamo anche implementando i luoghi di contatto, per esempio da Settembre partirà una presenza dello sportello in tutti i consultori cittadini.
Stiamo per attivare anche un discorso nelle scuole, in collaborazione con alcuni istituti superiori, per cercare di arrivare nei luoghi dove spesso le persone cominciano a sentirsi non a posto con la propria appartenenza di genere e a volte vanno in difficoltà, non trovano le risposte, non trovano un ascolto. E quindi già una buona percentuale, direi un buon 40-50% è stato raggiunto, ma stiamo provando ad aprire spiragli che guardano anche a quelle componenti forse meno problematiche, ma forse più sommerse.”
Quindi a breve ogni consultorio di municipalità potrebbe avere uno sportello di ascolto per le persone transessuali?
“Circa 15 giorni fa abbiamo fatto un incontro organizzato dal Dipartimento Materno Infantile con alcuni direttori sanitari. Ai primi di Settembre ci rincontreremo, l’idea è quella che l’equipe di sportello, che è fatta anche da operatori transessuali che sono operatori sociali, in maniera itinerante, con una cadenza che sarà definita insieme alle ASL, possa essere presente presso i consultori dai quali ci giungono di frequente richieste di ascolto sia da parte di famiglie che di persone che direttamente vivono il problema e che manifestano necessità di ricevere una consulenza, dei suggerimenti. Tutto questo è uno sviluppo del progetto Altri Luoghi e ci auguriamo che tra un anno, al termine dei due anni di sperimentazione, di aver consolidato una rete territoriale in grado di favorire la cittadinanza delle persone transessuali, che oggi sono spesso inascoltate, dimenticate, abbandonate e discriminate.”
Molti progetti vengono finanziati da fondazioni private, altri direttamente dallo Stato sul territorio. Con questo mercato in crisi, con i tagli e le revisioni dei costi della spesa pubblica, avete il timore di non veder rifinanziati i progetti o di doverli ridimensionare?
“Se le cose continueranno così, se le scelte della politica saranno come quelle di questi giorni, è più che un timore. Già oggi molti servizi sono ridimensionati e ci sono fortissimi ritardi nei pagamenti da parte degli enti locali che determinano una ricaduta pesante anche sui progetti. Si pensi che la Coop. Dedalus ha un bilancio che è superato di quasi due volte dai crediti che abbiamo con gli enti pubblici. Cioè le cooperative sociali rischiano di chiudere per eccesso di credito e non per debito. Ed è veramente un paradosso, noi non soltanto stiamo nei luoghi della difficoltà e della marginalità, ma mediamente abbiamo ritardi tra i 400 e i 520 giorni per pagamenti di enti come la Regione Campania e il Comune di Napoli. E ancora, è come se il nostro lavoro fosse una spesa a perdere, io continuo a pensare invece che lavorare con gli ultimi significhi lavorare anche per i primi, perché non c’è sicurezza per i primi se non c’è giustizia sociale rispetto agli ultimi, e perché alla fine i conflitti esplodono e quando esplodono i conflitti poi ne paghiamo tutti le conseguenze. Pensi inoltre che noi da anni lavoriamo in strada per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Mediamente tra persone transessuali, prostituzione e altre tipologie di utenza contattiamo sulle 2000 persone l’anno con attività di educazione sanitaria e di prevenzione, vogliamo dire che soltanto il 5% di queste 2000 persone, grazie al nostro lavoro, non cadono in patologie gravi tipo l’AIDS? Un solo trattamento sull’HIV costa allo Stato 1500 euro al mese. Si facciano i conti, noi facciamo risparmiare allo Stato molto più di quanto ci da. Eppure siamo sempre vissuti come quelli che fanno gli investimenti a perdere. E’ ora di finirla con quest’idea che il welfare è un lusso che bisogna avere nei momenti di benessere, poi da tagliare perché tanto le persone ultime, fragili non contano niente. Il welfare non è una spesa a perdere, investire sul welfare vuol dire investire sulla giustizia, sulla democrazia, ma anche economicamente su una spesa più razionale e moderata. Si mettano piuttosto le mani sugli sprechi veri di questa regione, perché quando la Regione dice che bisogna tagliare sul sociale, vuol dire che taglia sull’1,5 del bilancio regionale, mentre nessuno mette mano al 65% della spesa che sono le convenzioni dei privati nella sanità. Chissà perché?”
Sembra quasi che lo Stato abbia delegato ai privati la solidarietà sul territorio, scrollandosi di dosso anche la responsabilità verso le persone disagiate, è così?
“Io faccio questo lavoro da trent’anni. Ho sempre lavorato col privato sociale, però ho sempre pensato il mio ruolo a forte indirizzo funzione pubblica. Ho sempre pensato a un’integrazione che servisse al Pubblico per incrementare i servizi e per adeguarli a fenomeni sociali sempre più complessi e difficilmente agganciabili dal sistema tradizionale dei servizi. Invece molta politica ha pensato all’integrazione come mera delega al privato sociale, come scaricamento dei problemi a basso costo sul privato sociale. Tutta la politica ha fatto danni, ma anche il mio mondo a volte ha accettato quelle condizioni senza protestare, senza accorgersi che stava diventando in qualche maniera una sorta di interinale sociale, prestazione d’opera a basso costo.”
La persona, senza distinzione di sesso, nazionalità, religione, ceto sociale è sempre al centro dei vostri progetti, eppure ogni giorno ci scontriamo con forme di disuguaglianza, discriminazione, sfruttamento. Quando avverrà il vero cambiamento?
“Le persone, la maggioranza delle persone, quando vedrà un tossico, una prostituta, un matto, un immigrato e non penserà al clandestino, al pericolo, al nemico, ma comincerà a pensare a Jennifer, a Giovanni, cioè a ridare i nomi propri alle persone e quindi riconoscerle prima di tutto come persone con diritti complessi, ecco allora sarà iniziato il cambiamento. Credo che la deriva culturale che è avvenuta in questo paese, anche per colpa di buona parte dei media che hanno preferito rappresentare i fenomeni piuttosto che raccontarli, spesso con una rappresentazione demagogica allarmistica; e di una politica che invece di farsi carico dei problemi ha preferito, come dice Marco Revelli, puntare alla paura sul mercato del consenso elettorale; ecco, tutto questo ha portato moltissime persone a scomparire, a essere ridotte a sottocategorie, a essere nemici, gli ultimi, quelli da allontanare, quelli da rinchiudere. Ora bisogna ridare ai volti i nomi propri, sogni e aspettative alle persone. Se riusciamo a fare questo, avremo posto le basi per un cambiamento, altrimenti anche il mio lavoro rischia di diventare una sorta di ultima stanza nella quale qualcuno vorrebbe relegarmi il ruolo di governare le contrazioni sociali. Io non voglio trasformarmi in dama di carità, se mi dovessi accorgere di ciò smetterei di fare questo lavoro.”
Contatti
Dedalus cooperativa sociale
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