Fiat: Marchionne, la minaccia di 19 licenziamenti e la convinzione che sconfiggere il sindacato in fabbrica sia la strada giusta per essere vincenti.

Alla Redazione di NapoliTime, con cortese richiesta di pubblicazione.

Se non fosse una tragedia, per l’intero Paese e per migliaia di lavoratori e per le loro famiglie, la crisi della Fiat, potrebbe sembrare una farsa. Una farsa sicuramente amara, di quelle che ti fanno ridere, ma che ti lasciano in bocca quel retrogusto acido, che rende il tutto indigeribile.

Il comportamento di Marchionne è odioso, insopportabile per l’arroganza che esprime e per la meschinità dei suoi atteggiamenti e per le sue prese di posizione.

In tutte le vicende che lo hanno visto interprete, nelle passate settimane, il suo modo di fare è sembrato senza stile, al limite del volgare e quasi violento, nella sua insofferenza al contraddittorio.

Marchionne, ogni giorno che passa appare sempre più lontano dallo stile tradizionale a cui la Fiat ci aveva abituato nel secolo scorso. Lo stile interpretato mirabilmente dal mitico Avvocato Agnelli.La Fiat non si è mai tirata indietro nel contrasto duro ai sindacati ed alle loro richieste: ha licenziato, chiuso lavorazioni, posti a cassa integrazione decine di migliaia di lavoratori, ma sempre dentro un limite, dentro delle regole, che consentivano un accordo, un procedere insieme tra impresa, società e sindacati e lavoratori.

A Marchionne piace il ruolo dell’antipatico vincente, di quello che sa di avere ragione e di continuare contro tutto e tutti ad andare avanti per la sua strada, per cambiare, non solola Fiat, ma anche la società italiana. Un ruolo che si è imposto da solo e che nessuno gli ha assegnato, visto le critiche a cui Romiti e Della Valle lo sottopongono.

Una fabbrica che produce automobili non ha il compito di cambiare la società in cui agisce, questo è compito della politica, che può essere indirizzata, ma mai sostituita.

Appare veramente insopportabile Marchionne nella sua posizione, assunta appena resa pubblica la sentenza d’appello che imponeva il rientro in fabbrica dei lavoratori “discriminati” della Fiom.

“Se il giudice impone l’assunzione dei primi 19 operai che hanno vinto la causa, altrettanti verranno espulsi dal ciclo produttivo a Pomigliano.

Di fronte a questa posizione, che riproduce vecchi ed infami comportamenti degli ormai sorpassati  “Padroni delle Ferriere”, la dichiarazione di Marchionne potrebbe essere interpretata come una presa di posizione ideologica, che per il ruolo pragmatico, che deve svolgere un manager, non è corretta, ne giustificata.

Infatti, diventa veramente difficile pensare che in uno stabilimento come il Giambattista Vico di Pomigliano, predisposto per produrre 1000 vetture al giorno ed assorbire oltre 5000 lavoratori, non ci siano i posti per quei lavoratori che hanno vinto la causa. Un manager che fino ad ora ha vissuto di comunicazione, con quella dichiarazione afferma, che non solo non ci sono posti per i 19, ma nessuno degli oltre 3000 che sono ancora fuori dalla fabbrica potrà rientrare nel breve periodo.

Questo sarebbe grave, ma anche in contraddizione con quanto affermato nella Assemblea degli azionisti dell’altro giorno, che si vuole produrre a Pomigliano tutte le vetture possibili.

L’altro elemento che ci sfugge è la concreta applicazione della minaccia del manager italo americano. Ovvero, come si individuano i 19 operai che dovrebbero uscire per far posto a quelli della Fiom? Con quale criterio si sceglieranno quelli che dovranno essere posti in cassa integrazione? E l’INPS, accetterà la motivazione dell’azienda come giustificazione per riprendere ad erogare il sostegno al reddito a questi lavoratori, dopo che erano stati definitivamente licenziati dalla Fiat ed assunti in Fabbrica Italia, azienda non dichiarata in crisi?

Individuazione senza criterio e rischio di concreto licenziamento senza nessuna  motivazione per 19 lavoratori che erano stati assunti secondo un accordo sindacale ; questi sarebbero motivi più che sufficienti per una nuova causa controla Fiat, dal più che probabile esito favorevole.

Ecco la farsa nella tragedia: gli eventuali licenziamenti non hanno nessun fondamento giuridico, stiamo discutendo del nulla, per non voler discutere del fatto che una sentenza del Tribunale deve essere rispettata. Ma, quello che lascia veramente perplessi è l’atteggiamento della Fim e della Uilm, in questa vicenda. Infatti, i due sindacati, che sulla scorta del Piano Marchionne, hanno basato tutta la loro strategia, di fronte alla dichiarazione che quel piano non esiste più, avrebbero dovuto, perlomeno assumere un atteggiamento diverso nei confronti della Fiat, più cauto e meno disponibile.

Per quanto dichiarato dalla Fiat, il piano industriale, presupposto del famoso accordo, non firmato dalla Fiom, non esiste più. I lavoratori, in un referendum, hanno accettato quell’accordo, proprio per il presupposto che comportava, ovvero il rientro in fabbrica di oltre 5000 lavoratori. Se questo presupposto non c’è più, perché quell’accordo deve rimanere in vigore? Qtesta situazione non assomiglia a nessuna altra, nella storia dell’industria italiana; per affermazione dell’azienda, il mercato automobilistico è in profonda crisi, la strategia messa in atto 5 anni fa, alla prova dei primi 6 mesi di produzione si è rivelata fallimentare, e lo scontro si fa su questioni che sono sicuramente superate, perché dentro una polemica sindacale che riteneva quella strategia vincente.

Oggi, la Fiom, non attacca a fondo sul merito di quell’accordo imposto due anni fa, ma sulla evidente discriminazione messa in atto contro la sua organizzazione.La Fiom, come già detto in altri articoli, corre il rischio di vincere in Tribunale, ma di perdere nella realtà, perché la fabbrica non assorbirà più il personale che aveva stabilito negli accordi passati.  L’obbiettivo della lotta alla discriminazione politica e sindacale, deve essere coniugato con il rientro in fabbrica di tutti i lavoratori, altrimenti è una inutile vittoria. In questa assurda vicenda, tutti difendono qualcosa che si sperava avvenisse e che invece non c’è mai stato.  Per arrivare a questo punto, le responsabilità sono di tutti, nessuno escluso, se non si fossero commessi dei gravi errori, questa storia sarebbe finita da tempo e poteva rappresentare un possibile successo per la nuova Italia del dopo Berlusconi.

Ma la responsabilità maggiore è quella di Marchionne e della mediocre proprietà Fiat. Erano veramente convinti che sarebbe bastato sconfiggere il sindacato in fabbrica, aumentare i turni di lavoro, diminuire le pause e le retribuzioni, per essere vincenti sul mercato. Per vendere auto, non basta una buona politica di comunicazione che affermi l’immagine forte del management; soprattutto in tempi di crisi, al mercato interessa sapere se il tuo prodotto è buono e se il prezzo è conveniente. Purtroppo i prezzi della Fiat non sono particolarmente convenienti ed i prodotti non sono certamente i più innovativi. Marchionne paga sul mercato ed in tribunale le sue scelte, perdendo per il passato e per il presente. Una azienda non si porta avanti con l’ideologia, ma con le idee ed il consenso. Per ottenere il successo, un grande gruppo industriale ha bisogno che tutti lavorino nella stessa direzione. Lo scontro sociale e politico è un male mortale per una azienda. Speriamo che nel prossimo futuro ritorni la pratica del buon senso e del rispetto delle regole condivise, per tornare a pensare insieme allo sviluppo.

Lettera alla Redazione di Giuseppe Biasco.

FOTO: tratta da ilsussidiario.net

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