“Furtunato ‘o tarallaro”, l’ultimo ambulante di Napoli

Storie di adattamento di un popolo spesso in difficoltà: “Furtunato tène ‘a rrobba bbella! ‘Nzogna, ‘nzo”

fortunato-o-tarallaroEstate: a Napoli è tempo di deliziosi gelati, colorate angurie e freschi cocktail da gustare sul lungomare Caracciolo, ma il “must” del cibo di strada partenopeo negli chalet di Mergellina è, senza dubbio, il tarallo che, annaffiato da una birra fredda, rappresenta da anni un gustoso pretesto per affollare le vie cittadine nelle calde serate estive.

I famosi taralli “nzogna e pepe” sono un tipico prodotto della tradizione gastronomica nostrana. Farina, sugna, pepe e mandorle sono gli ingredienti di questa vera e propria leccornia che nasce verso la fine del 1700 dalla fantasia dei fornai napoletani i quali, per riciclare gli “sfridi” risultanti dalla produzione del pane, li impastarono con sugna e pepe e ne ricavarono delle ciambelle cotte poi in forno. Solo quasi un secolo dopo furono aggiunte le mandorle.

I taralli hanno costituito per decenni l’unico modo che il popolo più povero e misero aveva per sfamarsi con gusto. La loro produzione non si è mai arrestata e anzi, oggi più che mai il tarallo ha una diffusione capillare anche oltre il confine partenopeo. Fino a poco più di trent’anni fa venivano venduti dai “tarallari“, venditori ambulanti che, con la loro cesta, giravano per i vicoli e per le strade di Napoli, attirando i clienti al grido di “O’ tarallar'” oppure “Tarallucc’ nzogna e pepe”.

L’ultimo tarallaro di Napoli è stato Fortunato Bisaccia, storico venditore ambulante, ricordato anche da Pino Daniele in una sua celeberrima canzone. All’inizio degli anni settanta Fortunato, un ometto piccolo e grassoccio, dalle gambe arcuate e dal volto segnato dalle rughe, racchiudeva l’essenza, la storia e lo spirito di adattamento di un popolo in difficoltà. Col suo piccolo carretto fatto con un un canestro di vimini montato sul telaio di un carrozzino, girava di buon’ora per il centro della città e, al grido “Furtunato tène ‘a rrobba bbella! ‘Nzogna, ‘nzo”, attirava verso di sè le massaie per vendere loro, al costo di 10 lire, i taralli caldi. Questi erano tenuti nel canestro che, lasciando passare l’aria, manteneva fresca la merce, alla sommità della quale veniva poggiata una coperta di lana per trattenere il calore.

La cura e la devozione di Fortunato per i suoi taralli era paragonabile a quella di una madre per il suo bambino, racconta chi lo conosceva. In tutta la città Fortunato era considerato un’istituzione: la sua aria da scugnizzo ed il suo buon umore incarnavano il volto buono di una Napoli che, nonostante le mille difficoltà della vita (Fortunato era orfano di madre e reduce di guerra, ndr) non scendeva a compromessi con la criminalità. Fortunato Bisaccia ha ravvivato le strade, i cuori e le pance dei partenopei, fino al 1995, data della sua morte.

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