In tutto il mondo l’analisi del Dna è lo strumento principale per la “caccia” ai violentatori, idea presa poco in considerazione in Italia. Il Telefono rosa sollecita l’istituzione e il corretto funzionamento di una banca dei dati che registri i codici genetici degli stupratori
“E’ corretto e giusto che se esistono tracce utili per le indagini vengano acquisite e che si proceda all’analisi, anche a carico di ignoti, rispetto a un reato che può essere seriale come la violenza sessuale“, si è così espresso il legale Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle camere penali italiane, in merito alla legge 2009 che attuava il trattato di Prum (2005) e prevedeva l’istituzione entro quattro mesi di regolamenti per il funzionamento di questi nuovi strumenti. Questo termine non è stato rispettato e tuttora chi denuncia viene sottoposto ai controlli e i tamponi sono inviati all’istituto di Medicina legale, dove solo una parte di questo materiale viene realmente esaminato. Infatti i campioni di Dna talvolta vengono gettati tra i rifiuti speciali senza essere nemmeno analizzati.
In merito è intervenuta anche la presidente del Telefono rosa, Gabriella Carneri Moscatelli, che lancia un appello affinché si accelerino i tempi per la creazione di una banca dati nazionale del Dna. Per il progetto sono stati stanziati 30 milioni di euro nel triennio 2013-2015 che prevedevano la formazione della sede, la recluta degli operatori e gli interventi a favore delle vittime. “Sarebbe necessario destinare una percentuale dei 2 milioni di euro previsti per la banca dati alla realizzazione di un registro dei Dna degli stupratori”, aggiunge la volontaria prendendo come esempio la Francia che già da due anni ha adottato tale registro.
Per quanto riguarda i costi, per ora, le spese di giustizia ammontano a oltre 29 milioni a Milano nel 2013, più di 18 milioni l’importo per le intercettazioni, quasi 66.000 euro la somma per il toner delle stampanti, invece l’analisi sul tampone raccolto, secondo gli esperti, non supera il costo di 100 euro ad unità, che tenendo conto dei 260 casi registrati nel 2015, gli 800 del 2014 e gli oltre 740 del 2013, comporterebbe anche un discreto risparmio economico. Infatti le analisi delle circa 300 donne che ogni anno il laboratorio si troverebbe a gestire (il dato è inferiore ai casi, chi denuncia tempo dopo la violenza non si sottopone al tampone) non supererebbero il costo di 100mila euro.
Tuttavia uno degli ostacoli burocratici che hanno impedito finora la realizzazione del progetto, non è il fattore economico, bensì quello relativo alla privacy, come soluzione la Moscatelli ribadisce che i dati verrebbero comunque gestiti dal Ministero di competenza senza violarne la riservatezza.
A questo punto non si spera altro che l’istituzione di questo “archivio statale” che, evitando i casi come quello di Milano, dove una gran parte di campioni sono stati gettati nella spazzatura, permetterebbe, oltre l’individuazione dello stupratore, una maggiore protezione per tutte le donne.