Nonostante la tutela della mobilità dei disabili sia ampiamente regolamentata nel nostro ordinamento, prevedendo che i conducenti di autoveicoli si debbano fermare per l’attraversamento degli invalidi, anche se non sulle strisce pedonali e sia previsto l’obbligo di realizzare e manutenere tutte quelle opere necessarie a garantire il diritto alla mobilità dei disabili, ancora oggi la libertà di movimento risulta limitata se non impossibile nei nostri quartieri.
Spesso la larghezza dei marciapiedi e la pavimentazione impediscono l’uso di carrozzine. Marciapiedi troppo stretti, la presenza di tombini sporgenti o incavati rispetto al piano, dislivelli, rampe di scala nelle metropolitane ed assenza di ascensori, auto in sosta sui marciapiedi rendono la vita impossibile ai portatori di handicap.
Siamo tutti più sensibili ed informati sulla questione handicap ma ancora non abbiamo attuato ne la normativa vigente ne i previsti controlli per la sua valida applicazione.
La civiltà di un Paese si evidenza dalla sua attenzione verso i più deboli: disabili, anziani e bambini.
Recentemente una sentenza del Tribunale di Roma, in ottemperanza della legge n. 67 del 2006) “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” ha confermato l’obbligo di rimuovere la discriminazione esistente per quanto riguarda la mobilità dei disabili.
Ma il buon senso potrebbe essere la nostra linea guida: “Perché quando si costruisce qualcosa non si chiama un invalido per testarlo e verificarne la sua accessibilità?”