Circa 300 mila le aziende fallite, Confesercenti: “canone concordato e cedolare secca per la riapertura delle imprese”

Dall’inizio dell’anno circa 300 mila aziende hanno chiuso i battenti, soprattutto in Lombardia, Campania e Lazio. Confesercenti propone una “norma salva aziende”

crisi commercioNonostante i consumi interni stiano lentamente ripartendo, la crisi del commercio continua a perdurare, in quanto, nei centri urbani, aumenta sempre più l’assenza di attività commerciali. A comunicarlo è Confesercenti, l’associazione a rappresentanza delle piccole e medie imprese, che, sulla base di varie agenzie immobiliari ha stimato che in Italia ci sono più di 627mila locali commerciali sfitti per mancanza di un’impresa che vi operi , cioè quasi il 25% del totale disponibile, con valori percentuali che in alcune periferie sfiorano il 40%.

A partire da gennaio di quest’anno, infatti, tra negozi e pubblici esercizi sono sparite 30 imprese al giorno. Ancora più sconfortanti i dati che riguardano anche gli anni a partire dal 2012 ad oggi, nei quali si contano 300 mila imprese fallite. Questo fenomeno, che nonostante si manifesti pesantemente in tutta Italia, trova il suo apice soprattutto nei piccoli centri e nelle zone periferiche delle grandi città; in ogni caso, le regioni maggiormente colpite sono: la Lombardia, con oltre 82 mila imprese fallite, la Campania, che arriva quasi a 70 mila, ed infine il Lazio, che si posiziona ultimo (per modo di dire) con 62 mila imprese che hanno chiuso i battenti.

Ma quali sono le cause di questa desertificazione delle imprese? “La crisi economica, le liberalizzazioni e gli affitti che, soprattutto nelle aree di pregio commerciale, sono sempre più elevati”, spiega il presidente nazionale di Confesercenti Massimo Vivoli. Le motivazioni appena elencate “stanno svuotando le città di negozi, e i segnali della resa delle botteghe sono ben visibili nelle migliaia di saracinesche abbassate che si affacciano su strade che erano il regno dello shopping, ma che ora sono sempre più deserte e sempre meno sicure”, continua Vivoli. Tuttavia, Confesercenti ha una soluzione: l’associazione, infatti, suggerisce l’inserimento nella prossima legge di stabilità di una norma che permetta di introdurre canoni concordati e cedolare secca anche per gli affitti di locali commerciali. Un sistema, dunque, “già visto”, in quanto sia già stato adoperato per locazioni abitative, ma che potrebbe anche funzionare per le piccole e medie imprese commerciali attraverso accordi tra proprietari immobiliari, rappresentanti delle imprese commerciali e amministrazioni territoriali competenti.

“In questo modo si favorirebbe, in un momento di ripartenza dell’economia, la ripresa del mercato immobiliare, dando allo stesso tempo – commenta fiduciosa Confesercenti – nuovo impulso alla rinascita del commercio urbano e delle botteghe. Si creerebbe anche valore per tutti i soggetti interessati: il proprietario dell’immobile godrebbe di un indubbio beneficio fiscale, le attività commerciali corrisponderebbero un canone ridotto. E per l’amministrazione comunale sarebbe un doppio investimento: sociale, con il ripopolamento delle aree oramai desertificate delle città, e fiscale”.

Secondo l’ufficio economico e fiscale dell’associazione, infatti, con un canone concordato e cedolare secca, nel giro di due anni potrebbero rinascere circa 190 mila imprese, e “per il fisco centrale e locale – tra gettito Irpef, Tari e Irap pagate dalle imprese – sarebbe un introito aggiuntivo di 1,5 miliardi di euro”.

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