“Com’è triste Venezia…” (Charles Aznavour) si addice all’espropriazione dell’incantevole città lagunare operata progressivamente dal turismo di massa
Di veneziani ne sono rimasti pochi, e nelle sere d’inverno, quando il flusso di “estranei” cala vistosamente, Venezia denuncia la solitudine dei pochi residenti. Un velo di tristezza avvolge ogni cosa, come la nebbia che a volte impedisce la vista da una sponda l’altra del Canal Grande. Nelle stagioni dell’assalto a piazza San Marco e dintorni domina il caos e la città diventa invivibile, preda di turismo per nulla elitario.
Che fare? La città dovrebbe investire quanto incassa con la presenza straripante di visitatori in personale di controllo, in addetti alla pulizia di strade, piazze e canali, in vigili urbani che tutelino il rispetto per i luoghi più frequentati. In assenza di un progetto con queste caratteristiche la decisione di bloccare al numero di sessantamila l’ingresso in città.
Un quesito merita risposta: se sono americano, francese, russo o tedesco e m’imbarco sull’aereo per sbarcare a Venezia, sono sicuro di entrare nel novero degli eletti a cui è concesso entrare in città? O si dovrà fare domanda in carta bollata al Comune per non rischiare l’esclusione per soprannumero? E Capri, Taormina, Portofino, Roma, Firenze, Napoli e Palermo, seguiranno l’ostracismo veneziano e delle Cinque Terre a eccessi di turismo?