Roma, 29 ago. (Adnkronos) – Sono state depositate in Cassazione le motivazioni della sentenza di condanna a Silvio Berlusconi per frode fiscale nel processo Mediaset.
Il Cavaliere, si legge nel testo, fu ”ideatore del meccanismo del giro dei diritti che a distanza di anni continuava a produrre effetti (illeciti) di riduzione fiscale per le aziende a lui facenti capo in vario modo”.
Berlusconi, “conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto proseguisse inalterato mantenendo nelle posizione strategiche i soggetti da lui scelti – si legge – e che continuavano a occuparsi della gestione in modo da consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale”.
“La qualità di Berlusconi di azionista di maggioranza e dominus indiscusso del gruppo – si legge in un passaggio delle motivazioni – gli consentiva pacificamente qualsiasi possibilità di intervento, anche in mancanza di poteri gestori formali. La permanenza di tutti i suoi fidati collaboratori ma anche correi, ne costituisce la più evidente dimostrazione”.
I giudici della Corte di Cassazione sottolineano ”l’assoluta inverosimiglianza dell’ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi (proprio in quello che è il suo campo di azione e nel contesto di un complesso meccanismo da lui stesso strutturato e consolidato) da parte di personaggi da lui scelti e mantenuti, nel corso degli anni, in posizioni strategiche e nei cui confronti non risulta essere mai stata presentata denuncia alcuna”. .
“La mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizione di garanzia nella società non è dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità”, si legge ancora nelle motivazioni. E ciò “alla luce dell’accertata continuità dei rapporti di tutti i personaggi-chiave: quei personaggi mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui”.
“L’avvio del sistema in anni di diretto coinvolgimento gestorio del dominus delle aziende coinvolte – Silvio Berlusconi – e, poi, l’evoluzione del medesimo sistema secondo schemi adattati alle modifiche societarie e anche alle necessità d’immagine esterna, ma con sostanziale perdurare dei caratteri essenziali del meccanismo fittizio complessivo – si legge – acquistano evidenza probatoria – nell’ottica della Corte d’appello – alla luce dell’accertata continuità dei rapporti di tutti i personaggi-chiave”.
I giudici della Corte di Cassazione ricostruiscono le modalità delle transazioni, sottolineando come ”ad ogni passaggio la lievitazione dei costi era (a dir poco) imponente”. ”Un gioco di specchi sistematico” che ”rifletteva una serie di passaggi privi di giustificazione commerciale” nell’acquisizione dei diritti tv da parte di Mediaset.
Pertanto ”la definizione come sovrafatturazione qualitativa”, sottolineano, ”appare quasi un sottodimensionamento del fenomeno descritto: è, anzi, inadeguata a definirlo”.
Sono ben 208 le pagine della sentenza della sezione feriale della Cassazione che ha messo la parola fine al caso dei diritti tv Mediaset, rendendo definitiva la condanna di Berlusconi. Una sentenza, firmata non dal solo relatore, in questo caso Amedeo Franco, ma diversamente dalla consuetudine della Suprema corte siglata da tutti gli appartenenti al collegio, a partire dal presidente, Antonio Esposito. Gli altri cofirmatari sono Claudio D’Isa, Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo.
Le conclusioni alle quali erano arrivati i giudici della Corte d’Appello di Milano – sostiene la Cassazione – a proposito di Silvio Berlusconi, ”un imprenditore che avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il costo delle sue aziende” sono ”del tutto conformi alle plurime risultanze probatorie che essi hanno richiamato, riportato e valutato con adeguate argomentazioni del tutto immuni da vizi logico-giuridici e, come tale, non sindacabili in questa sede di legittimità”.