Negli ultimi tempi un gruppo di lotta armata (la Federazione Anarchica Informale) ha adottato lo stesso acronimo (FAI) della storica Federazione Anarchica Italiana creando molta confusione su quello che è l’anarchismo oggi in Italia e nel mondo. Già su Il Manifesto, il 18 Maggio scorso, è comparso un articolo dal titolo “Cari «informali», l’anarchia è un’altra cosa”, tratto dall’editoriale di “A” storica rivista anarchica, e che tende a chiarire le differenti posizioni.
Intanto sembra convinzione della gente che gli argomenti crisi e terrorismo siano indissolubilmente legati: l’Europa, le banche, la finanza mondiale, i Governi tutti a ribadire attraverso i media che fuori dall’Europa ci sia il caos, la fame, il terrorismo, l’anarchia. Ma cosa desidera il cittadino dallo Stato, dal suo Governo? Penso che ognuno di noi possa ritrovarsi in questo breve elenco: che non lo sfrutti, che non lo domini. Che sia solidale e cooperante al fine del suo benessere. Che gli fornisca i mezzi e la cultura necessaria al raggiungimento del massimo sviluppo morale e materiale. Che gli offra il pane in tempo di crisi economica. Che lo renda veramente libero. Che sia giusto e gli renda giustizia. Ecco, questo è anche parte del programma anarchico. Non significa vi è alcuna traccia di caos, non si cerca la distruzione e il sangue per le strade, non significa terrore, anzi maggior rispetto per l’uomo.
Anarchia è una parola che viene dal greco, e significa letteralmente “senza governo”. È lo stato di un popolo che si regge senza autorità costituite, senza appunto un governo. Il programma anarchico sembra una ricetta perfetta, una sorta di lista di ingredienti che per magia fondendosi riescono a dare felicità, giustizia e uguaglianza tra i popoli. Ma poi distogli gli occhi dalla lettura, accendi la televisione, e ti sembra di lottare invece contro i mulini a vento. Forse il pensiero anarchico è più vicino all’essere un pensiero filosofico, alla religione. In fondo è possibile essere buoni Cristiani, ma non per questo il mondo intorno a noi cambia in meglio. Anzi assisteremo sempre all’arroganza, alla sopraffazione del forte sul più debole, perché la natura umana è violenta. Ma se tutti noi, nel nostro intimo, coltiviamo l’idea di una società migliore, di una società più solidale, di una giustizia più giusta, di uno stato sociale più equo, per quale motivo non riusciamo a cambiare le cose? Ne discutiamo con un militante napoletano della storica Federazione Anarchica Italiana, Professore Enrico Voccia.
Noi tutti, in ogni parte del mondo, da anni vogliamo che le cose cambino in meglio per l’uomo, ma perché non succede?
“Se per questo è da millenni – da quando le prime e millenarie società agricole egualitarie e libertarie furono distrutte e soppiantate da quelle forme di dominio dell’uomo sull’uomo che chiamiamo “governo” e “proprietà” – che gli esseri umani delle classi dominate cercano, spesso confusamente, di ribaltare la situazione. La causa dei fallimenti è sempre la stessa, dai faraoni ad oggi: gli esseri umani vengono educati a credere che la gerarchia politica e sociale in cui sono nati sia una sorta di dato naturale inevitabile ed imprescindibile, per cui, nelle loro rivolte, tendono a riprodurla, affidandosi a nuovi capi e capetti, invece di prendere direttamente in mano le loro vite. Alla fine, cambiano i suonatori ma la musica resta la stessa. Non a caso, l’idea anarchica – nel senso dell’anarchismo comunista e sociale di Pisacane, Kropotkin, Malatesta, ecc. – è in assoluto la concezione politico-sociale più recente: non è stato e non è facile per nessuno abbandonare la forma mentale gerarchica che le classi dominanti impongono all’intera società. Questo sforzo non credo sia un semplice esercizio filosofico né tanto meno una religione, ma forse l’unica speranza per l’umanità, specie oggi, di sopravvivere a sé stessa.”
Dunque cos’è la vera anarchia?
“Innanzitutto, non c’è un uso vero o falso delle parole: la maggior parte di esse sono polisemiche, in altri termini sono dei significanti che hanno più significati diversi e denotano cose diverse. “Liberali” si definivano sia John Maynard Keynes sia Milton Friedman… “Anarchia” è una parola che non sfugge a questo destino, per cui quando parlo specifico sempre che mi riferisco, come sopra, all’anarchismo comunista e sociale di Pisacane, Kropotkin, Malatesta, ecc. – quello che, storicamente, è stato il punto di riferimento della maggioranza delle decine di milioni di uomini e donne che, dal XIX secolo ad oggi, si sono dichiarati “anarchici” ed hanno militato per l’anarchia. Intesa in questo senso, l’anarchia è la concezione politico-sociale di chi vuole sostituire alla gerarchia umana, al dominio dell’uomo sull’uomo in ogni sua forma, una società egualitaria ed autogestionaria. Al momento attuale, nonostante progressi tecnologici che permetterebbero a tutti di vivere nell’abbondanza con il minimo sforzo, la maggioranza dell’umanità lavora duramente in cambio di un salario più o meno misero. Anzi: una larga fetta rischia la morte per fame e, tutta intera, è sotto il rischio dell’olocausto nucleare, chimico o batteriologico da parte degli eserciti degli Stati e della catastrofe ecologica da parte della logica capitalistica che va contro la stessa conservazione della vita sul pianeta. L’anarchismo crede allora che qualunque forma immaginabile di Stato sia una malattia del corpo sociale e non possa curare i danni che lui stesso procura. È dunque interesse delle classi dominate organizzarsi e creare direttamente una società del tutto diversa e schematicamente così sintetizzabile: 1. egualitaria e libertaria, senza servi né padroni, in cui i mezzi di produzione siano gestiti in comune da tutti e la ricchezza distribuita secondo il principio comunista “da ognuno secondo le proprie possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni”; 2. senza governi, totalmente autogestita dalle popolazioni, dal “basso” verso l’“alto”, dove nessuno sia costretto a seguire decisioni in cui non crede e, allo stesso tempo, nessuno possa imporre la sua volontà agli altri – senza nessuna forma di dominio politico, né di una minoranza sulla maggioranza, né di una maggioranza sulla minoranza; 3. senza poteri religiosi e culturali, dove chiunque sia libero di aderire e sviluppare i propri interessi, liberamente organizzandosi con chi gli pare, ma senza la possibilità di imporre agli altri in alcun modo le proprie credenze. Il tutto senza passare per fantomatiche “fasi di transizione” che servono solo a ricostituire le gerarchie politiche ed economiche.”
Pasolini, in una sua celebre intervista, diceva: “Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettato da sua necessità di carattere economica che sfugge alla logica comune”. Anarchia è anche il Potere politico ed economico incontrollato?
“Proprio per questo dicevo prima che “anarchia” è una parola dai molti significati… Pasolini si riferiva alla cosiddetta “anarchia del potere” e/o alla cosiddetta “anarchia capitalistica”, insomma al fatto che il potere politico ed economico tende a non riconoscere nessuna legge – tranne la sua, che impone all’intera società. In questo senso “anarchia” diviene pressoché sinonimo di “gerarchia” ed evidentemente si tratta di tutt’altra cosa, in pratica l’inverso, dall’anarchia come storicamente si è affermata nel movimento operaio e socialista e che ho appena descritto.”
L’esperienza storica dimostra che mai una classe privilegiata si è spogliata dei suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se non vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza. Ne è esempio di questi giorni l’enorme sacrificio chiesto agli italiani dalla casta politica, e nessuna rinuncia da parte loro. Nemmeno alle agendine di pelle del Senato. Allora è sempre necessaria la forza per cambiare le cose?
“Innanzitutto la vera “forza” degli oppressi dal sistema capitalistico-statale – del 99% dell’umanità, per riprendere il fortunato slogan del movimento Occupy Wall Street – non è quella armata: le forze repressive possiedono strumenti assolutamente irraggiungibili da nessun movimento popolare che interpreti la lotta di liberazione in senso puramente militare. È invece l’organizzazione di massa: uno sciopero generale di lunga durata può lasciare carri armati e bombardieri senza benzina… Inoltre meno violenza si usa, maggiori saranno le possibilità di creare una società davvero diversa: l’anarchia, nel senso in cui sto usando ora questa parola, rifiuta la violenza proprio perché rifiuta la gerarchia umana che ne è sia la massima espressione sia la maggiore causa – si pensi solo alle guerre. Riconosce solo l’autodifesa e vuole che anche questa sia mantenuta nei limiti del riconoscimento dell’essere umano anche nel volto dell’avversario Questo intendeva Malatesta quando diceva “Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere. ””
La rivendicazione del ferimento di Adinolfi, AD Ansaldo Nucleare, secondo voi è attendibile?
“Innanzitutto, per giudicare l’attendibilità di un comunicato, bisognerebbe saperne con certezza l’autore, mentre un gruppo clandestino per definizione non si sa da chi sia composto e se ciò che afferma di essere sia vero. Insomma, l’unica cosa certa su cui possiamo discutere è l’azione in sé, in altre parole se è coerente con gli scopi che dichiara di voler raggiungere. Ora, perché da un punto di vista anarchico non è convincente in generale la strategia lottarmatistica di cui l’azione di cui parliamo è espressione? Innanzitutto, un dato empirico: queste strategie sedicenti “insurrezionaliste”, quando applicate nella storia, non hanno mai prodotto nessuna insurrezione e, tanto meno, una rivoluzione libertaria – al contrario hanno demoralizzato i movimenti di massa ed offerto alle classi dominanti l’occasione di passare per vittime invece che per carnefici. Le rivoluzioni egualitarie e libertarie di cui oggi l’intero movimento di opposizione radicale si vanta, dopo lo sfacelo del socialismo (ir)reale – lo zapatismo, l’Ucraina nella Rivoluzione Russa e la Rivoluzione Spagnola – sono state tutte opera di quell’anarchismo comunista e sociale che veniva attaccato come “moderato” dagli “insurrezionalisti” dell’epoca. Poi, oggi le tecniche di controllo delle polizie e dei servizi segreti sono talmente sofisticate che da decenni si può parlare di “fine del segreto” – ed una strategia lottarmatistica, per definizione, dovrebbe basarsi su di esso. Se facessi parte in buona fede di un movimento del genere che opera da anni, con un po’ di sale in zucca mi domanderei come mai tali tecnologie del controllo non le hanno usate contro di me e/o perché mi lasciano fare. Infine, una questione specifica sulla “informalità”. Qualche giorno fa c’è stata una lettera di minaccia ad Equitalia firmata da un nucleo FAInformale della Calabria, lettera i cui toni erano assai lontani da una qualunque ideologia anarchica. Ebbene, l’inattendibilità del comunicato l’hanno dovuta dichiarare i poliziotti; la FAInformale, invece, non ha smentito nulla, a dimostrazione del fatto che una tale strategia organizzativa, anche ipotizzando la buona fede di chi la mette in atto, permette qualunque provocazione da parte di chi voglia appropriarsi della sigla – che di per sé, come dicevamo prima, pratica, nell’ipotesi dei “compagni che sbagliano”, una strategia dannosa e controproducente. E questa è l’ipotesi migliore… Persino in merito all’ipotetica attribuzione di un’azione che è quanto di più antianarchico si possa immaginare – la strage delle scolare brindisine – sta tacendo da giorni.”
Che valutazione avete dato alle critiche (contenute nella rivendicazione della Federazione Anarchica Informale) contro il vostro movimento, ritenuto troppo razionale e troppo entro il limite del codice penale?
“Posso rispondere solo a titolo individuale, perché abbiamo deciso di ragionare con attenzione su come rispondere a questo documento che segna un momento di novità: non è solo la Federazione Anarchica Italiana ad essere attaccata, ma l’intero movimento, persino le aree cosiddette “insurrezionaliste” che, anzi, sono le più pesantemente messe in discussione, al limite dell’insulto personale. Direi che l’accusa di “muoversi con un occhio al Codice Penale” non ha alcun senso e si potrebbe, paradossalmente, ritorcere contro gli stessi autori del documento che, evidentemente, nel 99,9% periodico della loro esistenza si muovono all’interno di esso – altrimenti sarebbero da un pezzo nelle patrie galere. Anzi, probabilmente lo fanno con ancora più cura di altri, data la loro scelta di clandestinità. Il problema non è se un’azione rientra o meno nel Codice Penale: è se è utile o meno ad un processo di liberazione individuale e collettiva. Altrimenti dovremmo arruolarci in massa nell’esercito quando si inviano truppe all’estero, così avremmo il “coraggio” di violare l’articolo 11 della Costituzione…”
C’è qualcosa di straordinario nei movimenti civici, nelle riforme che partono dal basso. Le Leggi di iniziativa popolare sono una forma spontanea di autogoverno, quella forse più vicina all’anarchismo non crede?
“Anche se in alcuni dei proponenti esiste talvolta il desiderio inconscio di superare la separazione tra governanti e governati, queste iniziative si ingabbiano, di là della volontà soggettiva, dentro una logica gerarchico-istituzionale. Alla fin fine, chiedono ai potenti di ascoltare la voce delle masse, riconoscendogli così di fatto il diritto di decidere per tutti – e nella stragrande maggioranza dei casi la risposta è un secco rifiuto. Il contenuto delle norme proposte può magari anche essere positivo e riprendere alcuni aspetti delle rivendicazioni popolari (per questo, tra l’altro, vengono respinte), ma dal punto di vista formale (e la forma è sostanza) giungono a riconoscere il potere delle classi dominanti su quelle dominate. Ben più interessanti e vicine all’anarchismo, invece, sono quelle iniziative autogestionarie popolari che non chiedono nulla al governo ma fanno affidamento esclusivamente sulla solidarietà: le Banche del Tempo, i Gruppi di Acquisto Solidale, le associazioni di autoproduzione agricola e/o industriale, ecc. In questi casi l’aspetto egualitario e libertario è molto più presente, così come nei movimenti di lotta politica, territoriale e sindacale di base che rifiutano la delega e si organizzano in modo orizzontale, rifiutando la logica gerarchica. Questo genere di pratiche, negli ultimi tempi, dopo il fallimento conclamato delle esperienze legate al socialismo (ir)reale, stanno diventando sempre più diffuse, anche se la logica gerarchica e/o istituzionale è, come dicevamo all’inizio, dura a morire.”
In quale direzione sta andando L’Italia?
“Dove sta andando il mondo intero. Dopo l’esperienza delle politiche keynesiane – un tentativo di mediazione tra le logiche pure del capitalismo e gli elementari desideri delle classi popolari – dalla metà degli anni settanta ad oggi dietro il paravento ideologico del “nuovo che avanza” ci hanno servito il “vecchio che ritorna”. Il dominio, oggi, dietro le forme delle nuove tecnologie, ha il volto delle società di fine ottocento ed inizio novecento: potere assoluto del padrone sul posto di lavoro, uno stato gendarme che risponde in maniera esclusivamente militare alle proteste popolari, servizi sociali ridotti al lumicino. Un precario mi diceva una volta: “Mi dicono che non devo far riferimento alla vita dei miei padri. Il problema è che loro vogliono per me la vita del mio bisnonno…”. L’unica speranza in questo scenario siamo noi stessi, la nostra capacità di creare reti di solidarietà e costruire un nuovo mondo possibile e necessario.”