Si approssima il secolare pellegrinaggio dei “fujenti”, storia e folclore si perdono nella notte dei tempi
Durante la Quaresima capita, in alcuni quartieri, di essere ancora svegliati la domenica mattina dalle voci dei “madonnari“, fedeli scalzi e vestiti di bianco che, al grido di “A Maronn’ e l’arc'” chiedono offerte ai passanti e alle donne affacciate ai balconi.
La questua si ripete tutte le domeniche e termina il Lunedì in Albis, giorno in cui tutti i devoti si recano in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Arco a Sant’Anastasia. I fedeli, chiamati “fujenti“, ossia “coloro che corrono”, sono scalzi per voto e, sempre per voto, devono compiere di corsa almeno l’ultimo tratto del pellegrinaggio.
Pianti, preghiere, grida, imprecazioni accompagnano il rito, che si conclude coi devoti che si gettano in ginocchio e avanzano fino all’altare. I loro vestiti, rigorosamente bianchi (simbolo di purezza), recano una fascia azzurra, il colore della Madonna. I “fujenti” sono riuniti in associazioni capillarmente diffuse sul territorio. Ciascuna di esse, nel giorno della festa, si riunisce in una squadra, detta “paranza”, che ha il compito di portare a spalla la statua della Madonna dell’Arco in trono, preceduta da uno o più stendardi recanti il nome dell’associazione, il luogo di provenienza e la data della fondazione. Giunti davanti alla chiesa, i pellegrini iniziano ad essere tesi e l’atmosfera assume toni di intensa drammaticità.
E’ il varcare della soglia del tempio che, come in un rito antico, immette il fedele nello spazio sacro e fa sciogliere le sue emozioni. Finalmente, in forme altamente teatrali, ha luogo l’abbandono al sacro, la crisi in cui culmina la lunga corsa dei “fujenti”. Il rito si avvia così alla sua conclusione e i pellegrini, prima di riprendere la strada del ritorno, affollano la grande fiera che si svolge nelle vie circostanti, sciogliendo la tensione devota nell’animazione della sagra.
Centinaia e centinaia gli ex voto che adornano le pareti del santuario, alcuni risalenti addirittura alla fine del Cinquecento, tanto da rappresentare una delle maggiori raccolte di arte popolare esistente in Europa.
Ma quando nasce questo rituale così sacro? Dove oggi sorge il santuario, nei pressi di un arco romano, c’era un’edicola votiva dedicata alla Madonna. Pare che un tale, giocatore di pallamaglio, colpì l’immagine votiva in quanto furioso per aver perso. Immediatamente la Madonna prese a sanguinare e, allo stesso tempo, l’uomo iniziò a correre e a saltellare senza potersi fermare e per punizione fu impiccato.
La figura della Madonna ferita, della madre amorosa e dolente, sembra assurgere a simbolo di protezione dalle ingiustizie sociali: la “Mamma di tutte le mamme” diviene, in tal senso, la protettrice di tutti i figli “fujenti”, che, nei secoli, chiedono protezione e grazia alla Mamma dell’Arco, rispecchiando nel dolore dell’antica ferita della Vergine la ferita del loro antico dolore.
C’era una volta…, ora quello che impunemente gira per le strade cittadine è ben lontano da veri pellegrinaggi e vera devozione. Fatti salvi alcuni casi sempre più rari, si tratta solo di sciatteria e accattonaggio che niente ha a che vedere con la fede e la devozione, i riti, la musica e i canti.
Non è materia di antropologia ma di polizia urbana.